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15 Gennaio 2003
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QUORUM. I GIURISTI PREVEDONO CHE IN PRIMAVERA SI VOTERÀ SUL QUESITO DI RIFONDAZIONE Torna a sinistra il fantasma dell'art. 18 La Cgil verso l'astensione al referendum Il probabile sì della Consulta imbarazza il «sindacato dei diritti». Ds e Margherita contrari
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Tra il sì e il no, c’è una terza via: quella dell’astensione. Ed è, quasi certamente, la scelta che farà la Cgil di fronte al referendum, promosso da Rifondazione e dai Verdi, per l’estensione dell’articolo 18 ai lavoratori dipendenti delle aziende con meno di 15 dipendenti. Obiettivo della Cgil è quello di impedire che si arrivi al quorum del 51% per la validità del referendum. E, quindi, contribuire a far fallire l’iniziativa. Una disputa interna al centro sinistra, destinato a dividersi di nuovo sull’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, il quale, a sua volta, mostra una imprevista capacità di restare sulla scena nonostante il goffo dietro front del premier Silvio Berlusconi. L’opinione diffusa tra i giuristi, infatti, è che la Corte Costituzionale ammetterà il quesito referendario e che in primavera si andrà a votare. Nella due giorni del Direttivo della Cgil, che ieri ha formalmente proclamato per il 21 febbraio lo sciopero solitario e pur tuttavia generale dell’industria, il leader Guglielmo Epifani ha opportunamente rinviato ad una fase successiva - se non altro perché la Corte deve ancora pronunciarsi - la posizione da assumere. Non va dimenticato, però, che lo stesso Sergio Cofferati, quando ancora era segretario generale della Cgil, aveva bocciato il ricorso al referendum, sostenendo che difficilmente un diritto sociale possa estendersi per via referendaria. Per la confederazione di Corso d’Italia la decisione da prendere è assai delicata, perché se si schierasse per il sì il referendum si trasformerebbe politicamente in un voto proprio sulla Cgil, cioè sul soggetto che più di ogni altro ha alzato il vessillo dell’articolo 18 come baluardo dei diritti dei lavoratori; l’opzione per il no (potrebbe essere questa invece la scelta della Cisl) sarebbe palesemente in contraddizione con quella che è stata la battaglia centrale, cioè quella per i diritti, dell’ultima stagione di Cofferati. Non resta - ed è questa l’orientamento prevalente - che l’astensione accompagnata da una proposta della Cgil per estendere e rimodulare le tutele. Scelta che comunque finirà per dividere la confederazione, dal momento che non solo gli iscritti a Rifondazione e l’area del cosiddetto «Partito dei lavoratori» (Gian Paolo Patta, Gianni Rinaldini, Claudio Sabattini), ma anche la Fiom (la politicissima federazione dei metalmeccanici) ha aderito all’iniziativa del Prc. Non a caso Giorgio Cremaschi, segretario della Fiom, uomo vicino a Fausto Bertinotti, sfida il nuovo gruppo dirigente della Cgil a non tradire l’«eredità» di Sergio Cofferati. «Questo - dice - è un passaggio in cui si verificherà il mantenimento di una linea, oppure il primo segnale di una riconversione». Poi,Cremaschi lancia l'affondo, anticipando quello che sarà il leit motiv della polemica con la Cgil: «Se un diritto va difeso, va difeso per tutti e non in base alle dimensioni dell’impresa in cui si lavora. Questa è un’enorme contraddizione». Replica, con qualche tecnicismo ma in un’ottica strettamente sindacale, Giuseppe Casadio, segretario confederale, responsabile delle politiche del lavoro. Oggi - è il suo ragionamento - è frequente che il lavoratore reintegrato dal giudice perché licenziato senza giusta causa si trovi di fronte ad un datore di lavoro che si rifiuta di ottemperare alla sentenza. A quel punto il lavoratore si rivolge ad un avvocato per chiedere, ogni mese, un decreto ingiuntivo che spesso l’imprenditore non rispetta, ma che comunque garantisce al lavoratore la corresponsione della retribuzione. Anche nella piccole aziende è previsto il diritto alla «riassunzione» nel caso di licenziamento senza giusta causa, ma il meccanismo dell’ingiunzione è - secondo Casadio - di scarsa efficacia e porta, più realisticamente, ad un nuovo conflitto tra le parti. «Insomma non ha alcuna efficacia deterrente». Riepilogando: per la Cgil l’articolo 18 deve restare così com’è ma vanno introdotte sanzioni più consistenti, per esempio, prevedendo che nelle piccole imprese l’ non sia (come prevede la legge 108 del ’91) pari ad un ammontare tra le 2,5 e le 6 mensilità, ma si riferisca al cosiddetto danno reale futuro in rapporto alle condizioni oggettive e soggettive del lavoratore. «Una cosa - spiega - è il licenziamento di un giovane meccanico nella provincia di Bologna; un’altra è quello di una donna 45enne di Foggia». Epifani punta ad una proposta per le nuove tipologie contrattuali senza escludere di riprendere a ragionare su un abbassamento della soglia per l’applicazione dello Statuto a partire, per esempio, da sette dipendenti. I Ds, a parte l’area Salvi e qualcuno della sinistra, non condividono, come la Margherita, il referendum. «Anche perché - spiega Cesare Damiano, responsabile del lavoro - il rapporto di lavoro è materia delle parti sociali. La strada referendaria è sbagliata e i diritti vanno estesi in altro modo. Le aziende sotto i 15 dipendenti rispondono a logiche diverse rispetto a quelle medio-grandi. Da qui la proposta della "Carta dei diritti" per introdurre una rete modulata di tutele in un mercato del lavoro profondamente cambiato, nel quale accanto al lavoro subordinato ci sono i co.co.co e gli autonomi». A titolo personale il segretario confederale della Uil Paolo Pirani, si schiera per il sì ma, contestualmente, propone di valorizzare il ricorso all’arbitrato, senza escludere, come proposto da Pietro Ichino, di attribuire al giudice la possibilità di decidere sulla reintegrazione in alternativa al pagamento dell'indennizzo.
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