 giovedì 11 novembre 2004
La promessa di Berlusconi sei giorni fa, ieri ha annunciato che non riuscirà a tagliare. Il Paese aspetta Invece vogliono tassare gli Sms dei cellulari. Il Fondo monetario avverte: dovete ridurre il deficit elevato L’opposizione dice che è tutto un grande imbroglio. Fassino: la verità è che non hanno un euro in cassa Tasse, le ultime bugie di Berlusconi Bianca Di Giovanni
ROMA Dopo 24 ore di graticola Silvio Berlusconi si presenta sconfitto davanti alla stampa, accompagnato dal ministro Domenico Siniscalco. «Avrei voluto le tre aliquote, ma bisogna essere realisti», confessa.
Lo spot sulle tasse è saltato: l’Irpef (oggi Ire) è rinviata al 2006, nel 2005 il grosso andrà alla riduzione dell’Irap per le imprese e qualche «spicciolo» servirà ad aumentare le detrazioni per i figli. La modulazione si deciderà entro 48 ore. Di più non si può fare. Il sogno resta. La realtà si impone sulla propaganda, ma Berlusconi non rinuncia al suo sogno.
«La riduzione sarà di un punto di Pil in due anni - ripete senza fornire in dettaglio le cifre per il 2005 e quelle per il 2006 - Non è un rinvio, solo una diversa modulazione. Se fossi stato solo a decidere, l’avrei fatto subito». Sta di fatto che il presidente del consiglio è stato costretto ad una retromarcia clamorosa: è un tema su cui si era giocato la faccia. Come mai?
I mercati hanno detto no. Il fatto è che tutti, ma proprio tutti l’hanno avvertito che quella riforma fiscale propagandata da almeno cinque mesi a questa parte l’Italia non se la può proprio permettere. «Abbiamo parlato con sindacati, artigiani, imprese - elenca il premier - Unione europea, le banche, la Banca d’Italiae soprattutto i mercati, che hanno insistito molto sul fatto che ci fosse una totale copertura degli sgravi». L’ultima frase è da brivido: significa che la credibilità del Paese rischiava uno smottamento, tecnicamente un declassamento se si fosse avviato lo sgravio aumentando il deficit. Questo era intenzionato a fare il premier, come il centro-sinistra aveva sempre denunciato. Altro che scossa all’economia: sarebbe stato un terremoto. L’aveva dichiarato più volte Antonio Fazio (l’ultima venerdì scorso), l’aveva ripetuto fino all’ossessione l’opposizione, gettando l’allarme sui conti in disordine, l’aveva taciuto preoccupato lo stesso Siniscalco. Nel frattempo Confindustria aveva iniziato il suo pressing per la competitività. Hanno vinto tutti, meno che Berlusconi.
L’avvertimento dell’Fmi. La capitolazione è arrivata dopo 24 ore ad alta tensione. Prima lo «schiaffo» in Parlamento sul primo articolo della Finanziaria «emendato» per la prima volta nella storia. Poi la lettera della delegazione del Fondo monetario internazionale, che certifica il baratro su cui si affaccia il Paese. La delegazione americana avverte: per restare sotto il 3% di deficit nel 2005 occorre reperire altri 5-6 miliardi di euro. In altre parole, si è fuori linea di quasi mezzo punto di Pil: per questo servirà una manovra aggiuntiva dello 0,4% del Pil. Anche quest’anno occorrerà reperire un paio di miliardi ancora per centrere l’obiettivo del 2,9% di deficit. E non finisce qui. La crescita dell’Italia nel 2005 si fermerà all’1,7% a causa del caro-petrolio, rispetto al 2,1% indicato nel Dpef e nella Finanziaria. Tutto questo spinge gli ispettori del Fondo a chiedere un rinvio del taglio fiscale, e di utilizzare le risorse al contenimento del disavanzo. Non mancano preoccupazioni per le misure immobiliari avviate nell’ultima finanziaria di Tremonti e proseguite con Siniscalco. Per gli ispettori, infatti, la vendita e il riaffitto dei ministeri, così come quella delle strade (sic) non sono che aumenti di spese future: peggiorano il bilancio invece di migliorarlo.
Vertice da Apocalisse. Di fronte a questo fuoco di fila, Berlusconi sceglie la strada del paradosso. «Le osservazioni del fondo ci inducono all’ottimismo - ha il coraggio di dire mentre Siniscalco tace - Gli ispettori dicono che le prospettive a breve termine sono in miglioramento, mentre a medio termoine non si riesce ad avre una certezza». L’unica cosa sicura è che le spese vanno ridotte, non aumentate come era intenzionato a fare il premier. A quanto pare il clima al vertice dell’altra notte era apocalittico. Le conclusioni del Fondo montario erano filtrate nelle stanze del governo, mentre si addensavano sul Paese le nubi della sfiducia dei mercati. A quel punto sarebbe stato Gianni Letta a afre la prima mossa, chiedendo al premier di recedere dalla sua «campagna» anti-fisco.
I numeri del Tesoro. Siniscalco non scopre le carte sui dettagli dell’operazione. «Il dettaglio della manovra è ancora vago», confessa. Poi assicura che «le coperture saranno sostenibili dal punto di vista dei conti». Stop, nulla di più sotto i riflettori. Servono altre 48 ore per trovare l’intesa nella maggioranza sui tagli da operare. Come dire: un’altra impresa, visti gli ultimi fuochi incrociati partiti tra gli alleati di governo. Dalle indiscrezioni filtrate ieri il governo starebbe pensando ad un «pacchetto» fiscale di circa 3,9 milairdi, di cui 700 milioni destinati alle detrazioni per le famiglie a basso redidto. Il resto andrebbe alle imprese sotto forma di sgravi Irap, cancellazione dell’Irap sulla ricerca e sostegno all’innovazione. Non si sa ancora se la modulazione degli sgravi seguirà anche la classe dimensionale delle aziende, con l’obiettivo di favorire le piccole e medie non beneficiate dalla misura sulla ricerca. L’intervento, che sarà contenuto in un emendamento alla Finanziaria da presentare «a breve» (se lo dice il premier), dovrebbe essere accompagnato dallo stanziamento di un miliardo di euro per il rinnovo del contratto del pubblico impiego. La misura, dunque, peserà complessivamente per cinque miliardi, ma solo quattro saranno quelli destinati alle tasse. La Cgil, per bocca del segretario confederale marigia Maulucci, «boccia» anche l’ultima intesa confermando la validità dello sciopero generale. «Siamo ai soliti finanziamenti a pioggia - dichiara Maulucci - Quanto alle coperture, si rimanda sempre ai tagli indotti dal tetto del 2% che a questo punto lievitano ben oltre quei 9,5 miliardi indicati in Finanziaria».
Tutta colpa dell’Ue e dell’euro La delusione del premier è tangibile. Ma Berlusconi sa come scegliere un capro espiatorio. Come sempre è l’Ue e quel Patto di stabilità che va cambiato. E poi c’è l’euro troppo forte che penalizza le produzioni italiane.
|