Senza incentivi ordini a picco Fiat auto mette tutti in «cassa»
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Ma Sacconi: decisione a freddo, interrompe il dialogo
Tutti in cassa integrazione. Due settimane, l’ultima di febbraio e la prima di marzo, per 30 mila dipendenti. In ogni stabilimento auto del gruppo Fiat: se non risolleveranno gli ordini, definiti «drasticamente» in calo dopo la fine degli ecoincentivi, si fermeranno non solo le fabbriche che già lavoravano pochissimo (Termini e Pomigliano), ma anche quelle che fin qui avevano girato senza grosse difficoltà (Mirafiori e, più ancora, Melfi e Cassino). Oltre all’abruzzese Sevel, che produce veicoli commerciali leggeri, uno dei segmenti più colpiti dalla crisi già nel 2009.
È l’effetto-boomerang degli incentivi. A fine 2009, in vista della scadenza del provvedimento governativo, il mercato aveva registrato una netta crescita delle immatricolazioni e, soprattutto, degli ordini. E a questo si riferiva esplicitamente Sergio Marchionne quando, al consiglio d’amministrazione di lunedì, ha spiegato che per i primi due mesi del 2010 non ci saranno problemi di produzione. Aveva anche ripetuto, però, che i volumi previsti per il resto dell’anno dipenderanno dal «se» e «come» saranno rinnovati gli aiuti al consumo. Un taglio secco, è la stima dei costruttori, si tradurrebbe per il mercato italiano in un calo del 20%.
Claudio Scajola, ancora l’altro ieri, ha ribadito che «entro febbraio» il rinnovo ci sarà, anche se in misura ridotta. Tra attese e incertezze (e dopo la corsa di dicembre) le vendite si sono però già fermate. Anzi: gli ordini di gennaio sarebbero addirittura inferiori ad un anno fa. «Si stanno drasticamente ridimensionando — spiega una nota Fiat — verso un livello ancora più basso di quello registrato nel gennaio 2009, quando il mercato era in grave crisi». Risultato: le fabbriche hanno lavoro più o meno fino a metà febbraio dopodiché, smaltiti gli ordinativi incassati finora e quelli stimati a breve, le auto prodotte finirebbero sui piazzali. Ipotesi costosa e da tempo abolita, al Lingotto, che infatti motiva in questo modo il lungo e pesante stop: «Prevedendo che l’andamento negativo continui, è necessario adeguare i livelli produttivi alla domanda».
Una decisione che provoca la dura reazione del governo: «Una scelta a freddo che interrompe il filo del dialogo sociale anche se ci auguriamo di ricucirlo presto al tavolo dedicato al gruppo Fiat», commenta il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi. Preoccupato, ovviamente, il sindacato (già alle prese con le vertenze di Termini e Pomigliano, dove le proteste continuano). Gianni Rinaldini è pronto a riconoscere che «c’è sicuramente un problema reale di mercato». Non è però da sottovalutare, per il leader della Fiom-Cgil, un’altra questione: «La pressione politica della Fiat per ottenere gli ecoincentivi».
Ma Sacconi: decisione a freddo, interrompe il dialogo
Tutti in cassa integrazione. Due settimane, l’ultima di febbraio e la prima di marzo, per 30 mila dipendenti. In ogni stabilimento auto del gruppo Fiat: se non risolleveranno gli ordini, definiti «drasticamente» in calo dopo la fine degli ecoincentivi, si fermeranno non solo le fabbriche che già lavoravano pochissimo (Termini e Pomigliano), ma anche quelle che fin qui avevano girato senza grosse difficoltà (Mirafiori e, più ancora, Melfi e Cassino). Oltre all’abruzzese Sevel, che produce veicoli commerciali leggeri, uno dei segmenti più colpiti dalla crisi già nel 2009.
È l’effetto-boomerang degli incentivi. A fine 2009, in vista della scadenza del provvedimento governativo, il mercato aveva registrato una netta crescita delle immatricolazioni e, soprattutto, degli ordini. E a questo si riferiva esplicitamente Sergio Marchionne quando, al consiglio d’amministrazione di lunedì, ha spiegato che per i primi due mesi del 2010 non ci saranno problemi di produzione. Aveva anche ripetuto, però, che i volumi previsti per il resto dell’anno dipenderanno dal «se» e «come» saranno rinnovati gli aiuti al consumo. Un taglio secco, è la stima dei costruttori, si tradurrebbe per il mercato italiano in un calo del 20%.
Claudio Scajola, ancora l’altro ieri, ha ribadito che «entro febbraio» il rinnovo ci sarà, anche se in misura ridotta. Tra attese e incertezze (e dopo la corsa di dicembre) le vendite si sono però già fermate. Anzi: gli ordini di gennaio sarebbero addirittura inferiori ad un anno fa. «Si stanno drasticamente ridimensionando — spiega una nota Fiat — verso un livello ancora più basso di quello registrato nel gennaio 2009, quando il mercato era in grave crisi». Risultato: le fabbriche hanno lavoro più o meno fino a metà febbraio dopodiché, smaltiti gli ordinativi incassati finora e quelli stimati a breve, le auto prodotte finirebbero sui piazzali. Ipotesi costosa e da tempo abolita, al Lingotto, che infatti motiva in questo modo il lungo e pesante stop: «Prevedendo che l’andamento negativo continui, è necessario adeguare i livelli produttivi alla domanda».
Una decisione che provoca la dura reazione del governo: «Una scelta a freddo che interrompe il filo del dialogo sociale anche se ci auguriamo di ricucirlo presto al tavolo dedicato al gruppo Fiat», commenta il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi. Preoccupato, ovviamente, il sindacato (già alle prese con le vertenze di Termini e Pomigliano, dove le proteste continuano). Gianni Rinaldini è pronto a riconoscere che «c’è sicuramente un problema reale di mercato». Non è però da sottovalutare, per il leader della Fiom-Cgil, un’altra questione: «La pressione politica della Fiat per ottenere gli ecoincentivi».