Scommesse, inglesi pronti allo sbarco in Italia

14 marzo 2003
Il parere dell’avvocato generale della Corte
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Scommesse, inglesi pronti allo sbarco in Italia La Ue: togliere gli ostacoli
Sospetta violazione delle regole europee. Il caso nato dallo stop a una rete legata a Londra
L’Europa punta il dito contro la normativa italiana che regola le scommesse, perché «rappresenta un ostacolo alla libera prestazione dei servizi», in contrasto con la legislazione comunitaria. E’ questa la conclusione dell’Avvocato generale della Corte di Giustizia Ue, Siegbert Alber. Non è la prima volta che la Corte di Giustizia Ue affronta il tema delle scommesse e del gioco d’azzardo in Italia. Ma finora le limitazioni imposte dalla legge italiana sulla accettazione di scommesse da parte di operatori residenti all’estero erano state giustificate e ammesse (l’ultima sentenza risale all’ottobre ’99). Questa volta, invece, l’Avvocato generale si discosta dalla giurisprudenza, respingendo la linea di difesa dello Stato italiano. Se i giudici chiamati a pronunciarsi nei prossimi mesi accoglieranno il suo parere, che non è vincolante ma che di rado viene disatteso, l’Italia potrebbe dover aprire le porte agli allibratori stranieri, a cominciare dai bookmakers inglesi, i più interessati a entrare nel ricco mercato del nostro Paese. Il caso nasce da un procedimento penale del Tribunale di Ascoli Piceno contro Piergiorgio Gambelli, dopo una maxioperazione della Guardia di Finanza che fra marzo e giugno 2001 aveva portato al sequestro in tutta Italia di 263 agenzie affiliate a un allibratore inglese. Con oltre un centinaio di altri indagati, Gambelli gestiva in Italia centri di trasmissione dati, collegati via Internet con il bookmaker inglese e raccoglieva per lui scommesse su eventi sportivi. Aggirando le normative italiane. L’attività per legge nel nostro Paese è riservata infatti allo Stato o alle imprese che sono titolari di speciali concessioni. Da qui il tentativo di far emergere il contrasto tra le disposizioni italiane e il diritto comunitario sulla libertà di stabilimento e la libera prestazione di servizi. Così il Tribunale di Ascoli Piceno ha chiesto un’interpretazione alla Corte di Giustizia europea. Ieri le conclusioni dell’Avvocato generale. Pur valutando i centri di trasmissione dati non come stabilimenti dell’allibratore inglese, Alber sostiene che «le disposizioni italiane non soddisfano i presupposti del diritto comunitario», essendo «strutturate in modo palesemente discriminatorio» e «non sono idonee a tutelare i consumatori e l’ordine sociale». Quanto alla libera prestazione dei servizi, «la normativa italiana non può essere giustificata». Un’inversione di marcia. Che cosa è cambiato rispetto alla sentenza del ’99? Secondo l’Avvocato non si può più parlare di una coerente politica di contenimento della passione per il gioco a causa dell’effettivo ampliamento dell’offerta di giochi d’azzardo da parte del legislatore italiano negli ultimi anni. Gli obiettivi dichiarati dallo Stato non sono più perseguiti e perciò «non più idonei a giustificare gli ostacoli alla libera prestazione di servizi» da parte di operatori che hanno sede in altri Stati membri, dove sono regolarmente autorizzati. E, insiste Alber, nemmeno le temute conseguenze finanziarie negative per alcuni bilanci statali possono essere invocati come giustificazione.
gferraino@corriere.it
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Giuliana Ferraino
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