7/4/2004 ore: 10:42

Mobbing, risarcimento privilegiato

Contenuti associati

1- Mobbing, risarcimento privilegiato
2- La lesione equiparabile alla malattia


ItaliaOggi (Lavoro e Previdenza)
Numero
083, pag. 33 del 7/4/2004
di Daniele Cirioli


La Corte costituzionale ha dichiarato la parziale illegittimità dell'art. 2751-bis del codice civile.

Mobbing, risarcimento privilegiato

Danni da demansionamento pagati prima degli altri crediti

Il danno da mobbing è un credito privilegiato. Le somme spettanti al lavoratore dipendente a titolo di risarcimento del danno da demansionamento subito a causa dell'illegittimo comportamento del datore di lavoro rientrano tra i crediti muniti del privilegio generale sui mobili. Lo ha stabilito la Corte costituzionale nella sentenza n. 113/04 dichiarando l'illegittimità parziale dell'art. 2751-bis del codice civile.

La questione. La questione concerne il giudizio di legittimità costituzionale dell'articolo 2751-bis, numero 1, del codice civile promossa dal tribunale di Ferrara, nella parte in cui non munisce di privilegio generale sui mobili il credito del lavoratore subordinato per danni da demansionamento, subiti a causa di un illegittimo comportamento del datore di lavoro. Il tribunale fa notare che tale credito non può essere attratto in nessuna delle ipotesi di privilegio generale previste dal codice civile, nemmeno in virtù di interpretazione estensiva. Tuttavia, aggiunge, l'esclusione determina un'ingiustificata disparità di trattamento in quanto, dalla comparazione fra le cause di crediti già ritenuti privilegiati che risultano accomunati dalla derivazione di comportamenti illeciti del datore di lavoro, deriverebbe una sostanziale equivalenza nella funzione sociale con il danno da demansionamento.

La pronuncia costituzionale. La Corte costituzionale ha ritenuto fondata la questione di legittimità. In particolare, ha accolto la tesi d'incostituzionalità dell'articolo 2751-bis del codice civile in quanto, munendo di privilegio alcuni crediti risarcitori del lavoratore nei confronti del datore di lavoro per violazione di doveri nascenti a carico di quest'ultimo dal rapporto di lavoro, non include anche quello del risarcimento dai danni da demansionamento, nonostante di natura e fonte analoghe ad alcuni crediti già privilegiati. L'articolo 2103 del codice civile, spiega la sentenza n. 113/04, stabilisce nella prima parte del primo comma che il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte. Riferendosi all'indirizzo giurisprudenziale in materia, afferma poi che nell'elaborazione dei giudici ordinari è incontroverso che dalla violazione da parte del datore dell'obbligo di adibire il lavoratore alle mansioni cui ha diritto possono derivare a quest'ultimo danni di vario genere: danni a quel complesso di capacità e di attitudini che viene definito con il termine professionalità, con conseguente compromissione delle aspettative di miglioramenti all'interno o all'esterno dell'azienda; danni alla persona e alla sua dignità, particolarmente gravi nell'ipotesi, non di scuola, in cui la mancata adibizione del lavoratore alle mansioni cui ha diritto si concretizza nella mancanza di qualsiasi prestazione, sicché egli riceve la retribuzione senza fornire alcun corrispettivo; danni alla salute psichica e fisica. Da tanto ne deriva che l'attribuzione del lavoratore di mansioni inferiori a quelle spettanti o il mancato affidamento di qualsiasi mansione (situazioni per le quali ricorre la violazione dell'art. 2103 cc e che denotano il cosiddetto demansionamento) può comportare anche la violazione dell'art. 2087 cc relativo alle tutele delle condizioni di lavoro (la Corte richiama le sentenze n. 326/83 e n. 220/02). In conclusione, secondo la Corte tra il credito per danni da demansionamento e crediti già muniti del privilegio sussiste l'omogeneità necessaria per ritenere che la mancata inclusione del primo nel novero dei crediti muniti del privilegio generale sui mobili costituisca violazione dell'articolo 3 della Costituzione.

            Il principio
            Sussiste omogeneità tra il credito per danni da demansionamento e i crediti muniti di privilegio
            • La mancata inclusione del credito da mobbing nel novero dei crediti privilegiati costituisce violazione dell ’articolo 3 della Costituzione

ItaliaOggi (Lavoro e Previdenza)
Numero
083, pag. 33 del 7/4/2004
di Carla De Lellis


La lesione equiparabile alla malattia

Il mobbing può essere risarcito come la malattia. La lesione, infatti, può assimilarsi all'ipotesi di inabilità temporanea parziale conseguente a malattia. È quanto stabilisce la sentenza n. 119/04 del tribunale di Pinerolo.

Il giudice, in particolare, relativamente ai criteri di liquidazione del danno da mobbing, ritiene che possa avvenire soltanto in termini equitativi con riguardo alla natura, all'intensità e alla durata delle compromissioni esistenziali e delle sofferenze morali patite dal lavoratore.

Specificamente ritiene che il danno esistenziale, in assenza di altri parametri oggettivi, vada liquidato seguendo un metodo analogo a quello comunemente utilizzato dai giudici di merito per risarcire il danno biologico temporaneo, non apparendo opportuno fare riferimento a un criterio di natura patrimoniale come quello della retribuzione per liquidare il danno alla persona (che colpisce i danneggiati in modo indipendente dalle loro capacità di reddito).

Se, dunque, una lesione psico-fisica che annulli del tutto, per un certo tempo, le possibilità del soggetto di dedicarsi alle normali attività (cosiddetta inabilità temporanea totale) trova equo ristoro in una somma che si aggira sui 50 euro al giorno, la compromissione delle attività realizzatrici della persona può essere assimilata alla inabilità temporanea parziale conseguente alla malattia.

La questione presa in esame dalla sentenza, in particolare, ha condotto alla verifica di un danno esistenziale per il peggioramento della vita lavorativa che, secondo il giudice, deve essere liquidato in relazione al periodo di tempo dedicato al lavoro.

La situazione è relativa a rapporto a tempo pieno, ripartito su cinque giorni lavorativi a settimana, per otto ore al giorno su 22 giorni al mese, per il quale la compromissione della vita lavorativa si è realizzata pienamente per otto mesi di lavoro e solo parzialmente per altri otto mesi.

In base ai predetti criteri, conclude il tribunale, il risarcimento del danno pieno deve avvenire con 15 euro al giorno e quello del danno parziale con 7,5 euro al giorno. (riproduzione riservata)

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