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La corsa di Mr Postal Market Storia di Filograna, il "cane da soldi" Terzo senatore più ricco dopo Agnelli e Cecchi Gori, si presenta con una lista personale a Lecce
SEBASTIANO MESSINA
LECCE - Perché uno che in 45 anni ha fatto lo spalatore di neve, il tenente dei carabinieri, il facchino ai mercati generali, il professore di ragioneria, il presidente della squadra di calcio, il camionista, il commercialista, il commesso viaggiatore e il manager, perché uno così ci tiene tanto a fare il senatore? «Semplice» risponde Eugenio Filograna, il «signor Postal Market», sfoderando un sorriso primaveraestate: «Perché voglio che i giovani di Lecce abbiano tre cose. Primo, il lavoro. Secondo, il lavoro. Terzo, il lavoro». Lui che ne ha cambiati otto, sa bene cosa significhi non averne neanche uno. Lui che ha fatto i soldi - ma davvero: nella graduatoria della ricchezza dei senatori, lui è al numero tre, dopo Agnelli e Cecchi Gori - sa perfettamente cosa significhi essere al verde. «E non per sentito dire, mi creda. Anch'io ho avuto una dura gavetta, avevo imparato a sopravvivere a Milano con mille lire al giorno». Adesso questo quarantacinquenne sveglio - che i suoi amici hanno soprannominato «il cane da soldi», da quando ha comprato per 1 euro, lire 1937, la Postal Market un giorno prima che chiudesse, e nel giro di due anni ne ha fatto una società che vale 800 miliardi - l'ex ragazzo di Casarano che ha fatto fortuna a Milano, il berlusconiano pentito che nel ‘96 diventò senatore con i voti dei piemontesi, aveva deciso di candidarsi nella sua città. E siccome nessuno dei due poli l'ha voluto mettere in lista («D'Alema ha insistito per me, ma il segretario leccese dei popolari ha messo il veto»), lui ha fondato all'istante la sua lista personale, «Eugenio Filograna per il Salento», sfidando un commercialista del centrodestra e un farmacista del centrosinistra. In teoria, come candidato solitario ha meno chance del cammello contro la cruna dell'ago. In pratica, non è affatto detto. Lui che si fida solo dei numeri, ha in tasca un sondaggio di Datamedia. Cosa c'è scritto, senatore? «Che io oggi avrei il 47 per cento. Certo, mancano ancora tre settimane alle elezioni, ma certo non sono io che parto sfavorito». Qualcuno ha tentato di fermarlo, spiegandogli che le cifre cambieranno, quando Berlusconi avrà finito il suo bombardamento miliardario. Fiato sprecato: Eugenio Filograna ha sempre fatto di testa sua, sin da quando cominciò a fare il commesso viaggiatore per il mobilificio del padre. «Facevo 180 mila chilometri l'anno con una 128 coupé a gas, e guadagnavo pure bene. Ma non era la vita che volevo fare. Così, a 23 anni partii per Milano e mi iscrissi alla Bocconi. I soldi finirono. Vendetti la 128 per 600 mila lire, e con quelli andai avanti per un po': avevo imparato a cavarmela con mille lire al giorno. Poi finirono pure quei soldi. Ho fatto di tutto: lo scaricatore ai mercati generali, il venditore portaaporta, lo spalatore di neve, il camionista, il corriere. Lavoravo tre giorni la settimana, e gli altri quattro studiavo». I primi soldi, trenta milioni, il giovane Filograna li fece vendendo i diritti della sua tesi di laurea, «Politiche e strategie del marketing nel settore del mobile». Ma per la vera svolta dovette aspettare altri dieci anni: dopo aver fatto l'ufficiale dei carabinieri, il professore di ragioneria e il ricercatore, lui decise che era meglio fare quello per cui aveva studiato: il commercialista. «Con una lettera di presentazione del rettore della Bocconi, andai dal professor Pontani che era il numero uno, e sarebbe stato il mio maestro. I primi tre mesi lavorai gratis. Al terzo mese mi offrì 30 milioni l'anno, al sesto me ne propose 60, al settimo mi chiese di diventare suo socio. Naturalmente, accettai. Purtroppo, due anni dopo ebbe un infarto e chiuse lo studio: ero di nuovo a spasso». Fu così che Filograna, costretto dal destino a mettersi in proprio, si fece venire un'idea: metter su uno studio che offrisse alle imprese tutte le consulenze possibili, dall'elaborazione dati all'assistenza legale. «Avevo inventato l'assistenza globale, nella quale nessuno aveva mai voluto credere. E ha funzionato, per fortuna: oggi il mio studio fattura 12 miliardi l'anno». I maligni dicono che la sua vera fortuna è stata incontrare una moglie ricca: è così? «E' vero che mia moglie ha una fabbrica di pentole d'acciaio: gliel'ho regalata io, però. Lei mi ha aiutato moltissimo, ma in un altro modo. Una volta le chiesi mezzo milione in prestito perché non avevo i soldi neanche per pagare le tasse». E lei? «Me lo negò. Un uomo, mi disse, non deve mai chiedere soldi alla sua donna. Per me fu una grande lezione: non l'ho più dimenticata». Però qualche errore l'ha commesso pure lei, come quello di portare la politica sul catalogo di Postal Market. O no? Filograna non si scompone: «Io volevo dare un segnale forte di novità: mettiamo un uomo in copertina, ho detto. Lo abbiamo proposto a Ezio Greggio, ma lui ci ha chiesto 300 milioni. Troppi. Così m'è venuta l'idea: mi ci metto io, in copertina. Mi sono offerto di portare i problemi della gente in Parlamento. Sono arrivate un centinaio di lettere, ho fatto delle interpellanze, ma poi ci siamo fermati: non c'entrava nulla, con Postal Market». In politica, s'è mosso col passo dell'esploratore. Ha provato col Polo, ma ha litigato con Berlusconi. Ha tentato con l'Udr di Cossiga, «ma poi il Grande Centro è finito con una grande rissa». Ora vuol tentare con l'unica cooperativa che funziona al Sud, quella composta da un numero di soci dispari e inferiore a tre. Il programma è rivoluzionario: staccare il Salento da Bari e Foggia e farne una regione autonoma come la Val d'Aosta. E' questo il catalogo politico primaveraestate del signor Postal Market. Peccato che come slogan non possa usare «Soddisfatti o rimborsati». Ma non è detta l'ultima parola: «L'idea mi piace: a un certo punto si fa un referendum, e se gli elettori non sono soddisfatti il parlamentare restituisce la metà di quanto ha preso. Io ci sto. Ma gli altri?».
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