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 Immigrati, la via difficile della tolleranza di Fabio Bordignon
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A un anno di distanza dalla prima rilevazione, la Fondazione Nord Est ha svolto una nuova indagine sulle opinioni in merito all’immigrazione e la cittadinanza in Europa (i principali risultati dello studio, anticipati al Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi dal direttore Ilvo Diamanti e dal segretario alla ricerca Daniele Marini, sono stati presentati in un seminario svoltosi ieri presso la biblioteca del Cnel a Roma). La ricerca, condotta tramite sondaggio su un campione di circa 8mila persone, si è rivolta, analogamente all’anno precedente, ai cinque maggiori Paesi dell’Unione europea: Italia, Germania, Spagna, Francia e Gran Bretagna. Per la prima volta, inoltre, essa è stata estesa anche a tre Paesi dell’Europa dell’Est: Ungheria, Repubblica Ceka e Polonia; per cogliere quali tratti caratterizzino, su questi temi cruciali, i Paesi destinati nei prossimi anni a fare il loro ingresso nella casa comune Europea, rispetto a quelli che invece già ne fanno parte. Rispetto all’indagine precedente, nei cinque Paesi appartenenti all’Ue si osserva una lieve crescita degli atteggiamenti di timore legati al tema dell’immigrazione. Poco meno di un terzo dei cittadini di questi Paesi considera oggi l’immigrazione una minaccia. Il 26% sotto il profilo culturale e dell’identità nazionale; una componente leggermente superiore dal punto di vista dell’occupazione e della sicurezza. Questo quadro generale nasconde però forti distinzioni interne; sia dal punto di vista della diffusione che dell’orientamento. L’Italia è il Paese dove risulta più alto il grado di preoccupazione, che si collega prevalentemente a questioni di ordine pubblico e di sicurezza personale. Su livelli leggermente inferiori si colloca invece la Gran Bretagna, dove l’immigrazione è avvertita, perlopiù, come un pericolo per l’identità e l’occupazione. In entrambi i Paesi risulta ampiamente maggioritaria (attorno al 60%) la convinzione di non essere più in grado di accogliere i nuovi immigrati, anche se regolari. In Francia e in Germania, invece, si osservano livelli di timore più spostati verso la media dei cinque Paesi. Con i francesi, in proporzione, più preoccupati sotto il profilo della sicurezza e i tedeschi (in particolar modo quelli dell’ex Ddr) dal punto di vista dell’occupazione. La Spagna, infine, è il Paese dove risultano più limitati gli atteggiamenti di timore; ma anche quello dove si è registrata la crescita più sensibile rispetto alla rilevazione precedente. In generale la paura tende a crescere dove risultava più bassa l’anno scorso: in Spagna, ma anche in Gran Bretagna. Per contro, essa rimane sostanzialmente stabile dove era invece più alta, come in Italia. Questi atteggiamenti di allarme si riflettono nella richiesta, molto diffusa, di adeguamento da parte degli immigrati ai valori e alle norme dei Paesi in cui vanno a vivere. Circa otto intervistati su dieci, in modo abbastanza omogeneo rispetto ai Paesi considerati, ritengono che gli immigrati debbano accettare tali norme, quand’anche esse siano in conflitto con le proprie tradizioni e religioni. La paura non sembra invece tradursi automaticamente in chiusura rispetto alla concessione dei diritti di cittadinanza politica. Circa il 71% degli intervistati, infatti, si dice disponibile a concedere agli immigrati il diritto di voto alle elezioni amministrative. Ma con significative distinzioni tra i cinque Paesi. Mentre Spagna, Italia e Gran Bretagna manifestano sotto questo profilo una grande disponibilità, Germania e Francia si caratterizzano per una propensione a circoscrivere l’estensione di tali diritto ai soli cittadini dell’Ue. La paura per l’immigrazione sembra invece condizionare sensibilmente l’atteggiamento verso il processo di allargamento dell’Ue, tema strettamente connesso a quello dei flussi migratori. A questo proposito gli intervistati si mostrano divisi e incerti. Solo il 28% giudica questa prospettiva in modo decisamente favorevole, senza alcuna perplessità, per contro, una componente analoga per dimensioni (il 29%) si dice completamente contraria. Le posizioni di maggior chiusura si registrano in Gran Bretagna, Paese notoriamente più critico circa il processo di costruzione europea e, abbastanza sorprendentemente, in Francia; quelle di maggiore apertura in Spagna. L’Italia si colloca invece in una posizione intermedia, in parziale contraddizione con il grado di fiducia riposto nell’Unione — come è noto tra i più alti in Europa. Si tratta, come detto, di orientamenti fortemente collegati alla paura dell’immigrazione. Troviamo un’importante conferma di ciò se consideriamo la fiducia degli immigrati in base alla provenienza. A godere dei livelli più bassi di simpatia sono infatti le persone che provengono dai Paesi dell’Europa centrale e orientale. L’inquietudine e l’incertezza circa l’allargamento, tuttavia, non diminuiscono se spostiamo l’attenzione sui Paesi che saranno i prossimi protagonisti di questo processo. Più di un cittadino su due, in media, ritiene che con l’adesione del proprio Paese le cose andranno come prima, o siano destinate addirittura a peggiorare. Le posizioni di maggiore scetticismo si osservano nella Repubblica Ceka, mentre l’Ungheria appare il Paese che guarda con maggiore ottimismo al proprio ingresso. Le aspettative di miglioramento, inoltre, sembrano riguardare soprattutto il tema della difesa e della politica estera; maggiori perplessità rimangono invece per quanto riguarda il lavoro e l’economia. Se analizziamo poi gli atteggiamenti verso l’immigrazione scopriamo che, in questi Paesi, gli indici di allarme risultano nettamente superiori rispetto a quelli osservati nell’Ue; praticamente doppi. Le paure sono collegate soprattutto al tema dell’occupazione e della sicurezza, con interessanti distinzioni Paese per Paese. Gli indici di paura più elevati si registrano nella Repubblica Ceka, dove spicca soprattutto il dato sui timori sotto il profilo dell’identità, nettamente superiore che negli altri Paesi. In Polonia, invece, l’immigrazione suscita preoccupazione soprattutto dal punto di vista dell’occupazione; in Ungheria in quanto minaccia per la sicurezza e l’ordine pubblico. Si tratta di atteggiamenti che possono apparire sorprendenti, se rapportati alla scarsa rilevanza della componente straniera sulla popolazione in questi Paesi. Essi riflettono, tuttavia, il grande dinamismo demografico di queste aree, effetto degli sconvolgimenti politici e sociali che li hanno investiti negli anni recenti. Sabato 24 Febbraio 2001
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