Il villaggio cerca manager
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Economia
INDUSTRIA TURISTICA / LA SVOLTA
Il villaggio cerca manager
I tour operator italiani sono in crisi. E così decidono di uscire dalla dimensione familiare. Per tentare la risalita
di Maurizio Maggi
Piangono, i tour operator. E se le lacrime dei colossi europei riflettono le difficoltà del turismo internazionale legate soprattutto all'onda lunga della guerra in Iraq e del terrorismo, il magone del made in Italy ha radici più profonde. Con duecento società che si fanno concorrenza e i margini che si schiacciano giorno dopo giorno, l'industria del tour operating tricolore soffre oggi di eccesso di offerta e carenza di manager, di situazioni finanziarie che scricchiolano e di dimensioni troppo modeste. Così, mentre la stagione del turismo estivo entra nel vivo, il mondo dei tour operator italiani s'interroga sul proprio futuro ed è costretto a inalberare il cartello 'lavori in corso'. Dietro le quinte, si fa febbrile l'attività delle banche, in almeno quattro tra le principali società del settore. I due gruppi quotati in Borsa sono alle prese con problemi finanziari (I Viaggi del Ventaglio) e anche gestional-societari (la Cit, Compagnia italiana turismo) e i loro dossier sono sul tavolo di parecchi banchieri. A come risistemare conti e debiti della Valtur della famiglia Patti ci stanno pensando invece gli esperti della Tatò & Partners di Franco Tatò, mentre Mediobanca sta facendo il diavolo a quattro per rendere appetibile a potenziali compratori il gruppo Parmatour. Il braccio turistico dell'ex gruppo Tanzi, che nel bilancio al 31 ottobre 2003 ha denunciato perdite operative per 31 milioni di euro. Lorenzo Di Rosa e Riccardo Mondani, i due uomini di Mediobanca incaricati di raccogliere le manifestazioni d'interesse non hanno lesinato mail e telefonate per andare a caccia di probabili compratori per l'intero gruppo o per una delle società: Chiariva, Club Vacanze, Comitours, Going, Lastminute Tour, Sestante. Le cinque paginette dell'invito a farsi sotto, firmate dal commissario straordinario Enrico Bondi, le hanno viste in tanti, pare che una trentina abbiano risposto: "Parliamone". Meno di una decina i potenziali acquirenti che avrebbero manifestato interesse a rilevare in blocco l'intera Parmatour.
Uno di questi è la francese Accor. Il gigante transalpino dell'h tellerie possiede il 10 per cento della Cit e da settimane sta contrattando la ricapitalizzazione della società (sospesa più volte dalle contrattazioni sul mercato borsistico Expandi, l'ex mercato ristretto) con Gianvittorio Gandolfi, l'azionista di maggioranza. L'uomo di Accor dentro la Cit, Jean Robert Reznik, se n'è andato dal consiglio d'amministrazione, ma potrebbe rientrare. Insieme a Banca Intesa, che della Cit ha il 5 per cento, i francesi stanno valutando se partecipare o no alla ricapitalizzazione della società romana, un tempo pubblica e dotata di una formidabile presenza di agenzie in Italia e all'estero. Dalla Cit se n'è andato Ubaldo Livolsi, il finanziere che è anche consigliere d'amministrazione della Fininvest di Silvio Berlusconi, che ha maturato la sua decisione anche perché Gandolfi da ottobre ha affidato la riorganizzazione del gruppo ai banchieri francesi della Lazard. La società romana, che nel 2003 ha perso 41 milioni di euro e ha una posizione finanziaria negativa per quasi 50 milioni di euro, dovrà raccogliere denari freschi (tra 51,7 e 90 milioni) entro entro la metà di settembre. Sicuramente si diluirà la presenza di Gandolfi, che oggi possiede più del 40 per cento del gruppo. Intanto, in Borsa, il titolo Cit viaggia a circa 0,55 euro, dopo essere stato collocato, nel novembre del 2002, a 1,99 euro. Piuttosto male sul listino sta andando anche a I Viaggi del Ventaglio: collocata a 4,5 euro, nel maggio 2001, l'azione del tour operator milanese si aggira attualmente intorno a 1,20 euro. Il fondatore Bruno Colombo ha fatto un passo indietro, nominando Claudio Calabi (ex capo azienda alla Rcs e alla Camuzzi) amministratore delegato, ma partecipando alla ricapitalizzazione per 24 milioni di euro. Altri 26 milioni di aumento saranno richiesti al mercato, entro settembre. La priorità di Calabi è il rimborso del bond 100 milioni di euro, in scadenza l'anno prossimo. Penalizzato da un avventata copertura del rischio di cambio (incassando in euro e pagando in dollari, si era coperto contro una crescita della divisa americana, e invece è stato l'euro a schizzare all'insù), il Ventaglio ha dovuto accantonare prudenzialmente parecchie decine di milioni di euro, chiudendo in perdita sia il bilancio 2003 che i primi sei mesi del 2004. Contrariamente a Cit e Parmatour, che pagano sul mercato le loro debolezze e hanno fatti passi indietro anche nei volumi, I Viaggi del Ventaglio, secondi nella classifica dei tour operator italiani in termini di ricavi (693 milioni di euro nel 2003) debbono il loro momento no a ragioni esclusivamente finanziarie. E proprio in questi giorni, a dar man forte a Calabi sul fronte dei rapporti con le banche, è in arrivo dall'Enel il nuovo capo della finanza, Oddone Pozzi.
Quello di Colombo non è l'unico tentativo di 'managerializzare' l'ancora, per molti versi, artigianale industria del tour operating italiano. Ci sta provando anche il leader italiano del settore, Alpitour. Da poco diventata la capofila di tutte le attività turistiche del gruppo Agnelli, dopo la cessione della partecipazione nel Club Méditerranée, attraverso la Ifil. Che ora è pronta a investire cento milioni di euro in Alpitour. Chiuso il 2003 in leggero utile, dopo due anni di rosso, Alpitour da quattro mesi ha come amministratore un uomo che viene dal business alberghiero, Mauro Piccini. E da qualche settimana il vicepresidente è Lupo Rattazzi, rappresentante della famiglia nonché fondatore di Air Europe. Rattazzi è stato per anni un fornitore di viaggi aerei del Ventaglio e conosce bene sia Colombo sia Calabi. "Credo che adesso sarà più facile dialogare tra noi che siamo i leader in Italia, per abbattere i costi e aumentare la marginalità depressa dall'aspra competizione e dal dilagare del last minute", è la speranza di Colombo. Sia Piccini sia Calabi sostengono di aver fatto offerte per pezzetti di Parmatour. Nessun interesse, invece, dalla svizzera Hotelplan, che controlla anche Turisanda. "I marchi in vendita sono un po' impolverati", dice il direttore generale, Anna Schuepbach. L'Italia è il principale mercato per il gruppo elvetico, che punta a rapporti consolidati con le agenzie: "Non è il caso di lavorare con tutte le agenzie: meglio selezionarle e farle guadagnare".
Un po' tutti, nel settore, dichiarano di voler aumentare l'attività nel cosiddetto 'incoming'. Cioè nel portare turisti stranieri in Italia. Nati per fare 'outgoing', per far viaggiare gli italiani, specie all'estero, i tour operator italiani vogliono riscoprire e rilanciare l'Italia. Proprio da questo fronte, però, arrivano segnali negativi per la stagione in corso. L'Astoi, l'associazione dei tour operator, ha rilevato un calo di prenotazioni per i pacchetti estivi in località italiane. Si parla di un bel 7 per cento in meno. E il giro d'affari, nonostante i rincari che talvolta sono del 20 per cento, sarebbe in calo del 3,5 per cento. Spiega Piccini: "Per conquistare i flussi degli stranieri dobbiamo impegnarci noi aziende, magari aprendo sedi all'estero, ma anche chiedere che le istituzioni ci diano una mano. Perché in Spagna e in Francia ci sono norme e agevolazioni fiscali che favoriscono per esempio le strutture che tengono aperto tutto l'anno, e da noi no". Concorda Sergio Iasi, amministratore delegato di Sviluppo Italia Turismo, la società che sta per essere privatizzata proprio in questi giorni e che ha come missione lo sviluppo di alberghi e villaggi, gestiti poi da specialisti del settore.
Iasi e Massimo Caputi, il capo di Sviluppo Italia, hanno lanciato qualche mese fa una provocazione che ha scatenato il dibattito tra gli addetti ai lavori. Ci vuole un polo del tour operating, hanno detto, perché il settore italiano è affetto da nanismo. Spiega Iasi: "Anche per promuovere l'Italia è meglio essere grossi. La capacità di contrattazione del proprietario di un albergo con cento posti e di un gruppo con tremila camere è ben diversa, quando hai a che fare con un grande operatore internazionale. Se sei piccolo, fai solo da terminale: il viaggio aereo lo gestisce un vettore estero, le gite sul posto le agenzie legate al gruppo straniero, e via di questo passo. Volente o nolente, credo che alla fine il settore dei tour operator dovrà concentrarsi. Se non ci penseranno gli italiani, credo proprio che ci penserà qualcun altro".
Ma per i big stranieri la ripresa è vicina
Dopo l'11 settembre e la Sars l'intero settore era in caduta libera. Ora c'è qualche segnale positivo
Un po' di colpa ce l'ha l'Italia, che è bella e permette agli italiani di farsi le vacanze anche vicino a casa, senza ricorrere ai tour operator. Un'opportunità che non hanno tedeschi, inglesi, belgi. Quasi costretti a viaggiare, i popoli del nord Europa hanno contribuito a far crescere alla grande i tour operator che li spediscono al sole o nelle città d'arte. Però se il primo gruppo italiano del settore, Alpitour, è solo undicesimo nella classifica continentale, qualche responsabilità gli imprenditori domestici ce l'hanno di sicuro. E impressionante appare il confronto tra le capitalizzazioni di Borsa di società: Cit e Ventaglio, le due italiane quotate in Piazza degli Affari, sul listino valgono meno di 40 milioni di euro. La tedesca Tui, il numero uno europeo in termini di fatturato, capitalizza ben oltre i 5 miliardi di euro. La svizzera Kuoni (proprietaria dell'italiana Gastaldi) e l'inglese First Choice viaggiano intorno al miliardo di euro. E il Club Med sta sopra i 700 milioni di euro alla Borsa di Parigi. Diverso anche il recente comportamento dei titoli sui listini. Le azioni della Cit e dei Viaggi del Ventaglio dall'inizio del 2004 non hanno fatto che scendere a rotta di collo. Il Club Med s'è invece rivalutato del 10 per cento. Le minuscole dimensioni borsistiche delle due società italiane fanno sì che nessun analista le tenga d'occhio: l'ultimo report su I Viaggi del Ventaglio scaricabile dal sito ufficiale della Borsa italiana risale all'autunno 2003. E se un titolo non è monitorato da nessuno, è assai difficile che qualche investitore possa prenderlo in considerazione. Goldman Sachs, Merrill Lynch, Morgan Stanley e gli altri blasonati nomi della finanza anglosassone seguono invece da vicino i big europei, anche se a volte con giudizi straordinariamente allarmanti. In uno studio di Goldman Sachs, un anno fa, fu scritto addirittura che "l'industria dei tour operator potrebbe essere in declino strutturale". Sovracapacità dell'offerta, Internet e contrazioni sui margini venivano identificati come nemici potenzialmente letali. Non è andata così, almeno per ora. Anche se le ultime stagioni hanno dimostrato che non basta fare grandi volumi né vantare cospicue capitalizzazioni di Borsa per garantirsi automaticamente crescita e utili. L'attacco alle Torri Gemelle, le guerre del Golfo e la Sars da un lato, la concorrenza dei last minute e il Web dall'altro, hanno effettivamente creato parecchi grattacapi anche ai grandi del turismo organizzato. Secondo la classifica elaborata dalla testata specializzata TTG Italia, solo quattro tra i primi dieci gruppi a livello europeo hanno aumentato i ricavi nel 2003. E la diminuzione della redditività ha colpito un po' tutti. Di declino strutturale, però, non si parla più.