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Farmacisti, l’impossibile obiezione

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Sabato 4 Novembre 2000
commenti e inchieste
Farmacisti, l’impossibile obiezione

Discuteranno medici e politici se la cosiddetta "pillola del giorno dopo" sia un contraccettivo oppure un abortivo. E i fedeli decideranno se essere, appunto, fedeli alle direttive delle proprie autorità religiose utilizzando o rifiutando il farmaco. Ma poiché da qualche parte si levano voci ipotizzando un preteso diritto all’"obiezione di coscienza" dei farmacisti, i quali dovrebbero poter scegliere se vendere oppure il prodotto, vanno ricordarti alcuni elementari dati economico-giuridici.

La legge 194/78 che disciplina l’interruzione volontaria della gravidanza non trova possibilità di applicazione nel caso della "pillola del giorno dopo" che non prevede alcun intervento sulla donna, bensì solo una prescrizione medica e l’acquisto del medicinale.

È il caso poi di ricordare che l’attività (commerciale) di farmacista gode di fortissime barriere all’accesso e di un monopolio giuridico e di fatto sui prodotti medicinali. Per un verso il numero delle farmacie è determinato in base al numero degli abitanti di un comune e la loro localizzazione è stabilita in modo da poter "occupare" strategicamente il territorio, attraverso una sua spartizione geografica. Per altro verso solo in farmacia si possono vendere i medicinali, e non solo quelli dietro ricetta, ma anche quelli cosiddetti "da banco", che in altri Paesi sono liberamente venduti. E sono note le contestazioni che vengono mosse in sede europea a tale ultima restrizione.

Se dunque le farmacie godono di tali protezionismi, non è dato comprendere come possa concepirsi una "obiezione di coscienza" per taluni prodotti. Chi sceglie tale attività (si ripete, commerciale: il farmacista è soggetto alle norme sul fallimento) sa bene, fin dall’inizio, che si troverà a vendere prodotti che forse, per convinzioni religiose, non utilizzerebbe mai personalmente. ma non può godere dei benefici del monopolio e al tempo stesso invocare privilegi di scelta sulla base di principi extrastatuali. In parole povere la libertà di coscienza va a braccetto con la libertà di mercato. Ma se si nega quest’ultima, risulterebbe solo una "anomalia italiana" trasformare le farmacie in "imprese di tendenza" gestite secondo i principi politico-religiosi seguiti dal titolare.

Quanto si è detto appare tuttavia una preoccupazione remota. I farmacisti sono persone di buon senso e non si è visto nessuno — salva l’eccezione zelota — negare in tutti questi anni la vendita di anticoncezionali o di profilattici, anch’essi contrari a talune dottrine religiose.

La vicenda della "pillola del giorno dopo" tuttavia porta con sé alcune riflessioni più ampie. Se è indiscussa la libertà della Chiesa cattolica nel diffondere la sua dottrina, in discussione è la libertà dello Stato, non sotto il profilo di supposte ingerenze d’Oltretevere (a ben altre ingerenze fior di presidenti del consiglio democristiani hanno resistito nei primi anni 70 per le vicende del divorzio e dei matrimoni canonici) bensì sotto quella della libertà economica dei suoi cittadini, ancora ristretta da schemi corporativi (il Testo unico sulle farmacie è del 1934). E ci ricorda che la laicità dello Stato è un valore fondamentale oggi sottovalutato, ma che occorre preservare se ci si vuole difendere, in futuro, dai tanti nuovi integralismi in agguato.

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