28/9/2010 ore: 10:06

Dieci anni di schiaffi ai salari Potere d’acquisto -5.453 euro

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L’inflazione e l’aumento del prelievo fiscale in dieci anni si sono mangiati, in media, quasi 5 mila e 500 euro di potere d’acquisto per ogni lavoratore italiano. La valuta l’Ires, ufficio studi del sindacato Cgil, che ieri ha presentato un rapporto su «La crisi dei salari».
L’Ires-Cgil calcola che le buste paga lorde dopo il 2000 hanno perso potere d’acquisto per 3.384 euro per colpa dell’aumento dei prezzi. Non ogni aumento viene rubricato come perdita ma solo la quota di inflazione effettiva che eccede gli aumenti contrattuali medi. A questa scrematura si sommano 2.069 euro persi per il cosiddetto «drenaggio fiscale» (in inglese «fiscal drag»): si tratta delle tasse più alte che si pagano quando, in seguito alla rincorsa fra prezzi e salari, i lavoratori guadagnano nominalmente di più e il loro reddito passa a scaglioni più alti, nei quali il prelievo è più forte, per cui il tutto si risolve in una perdita anziché in un guadagno, se non operano meccanismi di recupero.
Nel complesso del decennio la mancata restituzione del drenaggio, dice l’Ires, ha fruttato alle casse dello Stato 44 miliardi di maggiori entrate a spese dei lavoratori.
La perdita del potere d’acquisto non ha avuto un andamento lineare. Si è concentrata nel 2002 e nel 2003 (con più di 6.000 euro persi nel biennio) mentre nel 2008 e nel 2009, nonostante la crisi, c’è stato addirittura un recupero a favore dei lavoratori (reso possibile dalla bassa inflazione che la crisi economica ha portato con sé), con oltre 3.000 euro disponibili in più.
Naturalmente questo effetto benefico si è avuto solo per i lavoratori che durante la crisi sono riusciti a conservare il posto, mentre i molti che lo hanno perso (fisso o precario che fosse) hanno vissuto sulla propria pelle solo il peggio. Secondo l’analisi dell’Ires-Cgil, il recupero dei livelli di Pil del 2007 si raggiungerà solo nel 2015, mentre per tornare ai livelli di occupazione pre-crisi bisognerà aspettare il 2017.
Il lavoro dipendente, denuncia la Cgil, è penalizzato in Italia sotto il profilo fiscale rispetto ad altre forme di reddito e questo, dice il segretario generale Guglielmo Epifani, «uccide la produttività». L’Ires segnala che la produttività in Italia dal 1995 è cresciuta solo dell’1,8% mentre in Germania, Francia e Gran Bretagna ha fatto +20% e oltre.

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