14/6/2005 ore: 10:37
"StatoLiquido" Fine del triumvirato, è l’addio alla pax nel partito
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Amedeo La Mattina UN colpo di testa». Si trovava a Lussemburgo quando Gianfranco Fini è stato raggiunto dalla notizia delle dimissioni di Gianni Alemanno e Alfredo Mantovano. Aveva messo in conto quelle del coordinatore regionale per la Puglia. Non si aspettava la mossa di rottura del leader della Destra sociale che lascia la vicepresidenza e prende il largo di una nuova opposizione interna. «Siamo all’ultimo giro di giostra, nei prossimi mesi ci giochiamo le elezioni, la situazione economica è quella che è, io sto qui per evitare che il nostro Paese venga danneggiato dal bilancio Ue, e un ministro di An mette in discussione la leadership del partito. Mi sembra un colpo di testa». L’esito del referendum, la bassissima percentuale di votanti, ha dato fiato a quella parte di An che ha vissuto come un «tradimento» la posizione di Fini a favore del voto, aggravata da tre «Sì». E che adesso pretende un chiarimento sulle intenzioni del capo, sui valori di riferimento di una destra costretta a fare i conti con il nuovo soggetto politico messo in cantiere da Berlusconi. Ed è proprio su questo piano inclinato che Alemanno cerca di diventare il punto di riferimento di chi nel contenitore unico berlusconiano non vuole finire. Un punto di riferimento dentro e fuori il partito di un’area vicina alle gerarchie ecclesiastiche, a quel mondo giovanile che sente e vive fortemente i valori della famiglia e della vita. E che questa classe dirigente di An non è riuscita a intercettare. Per questo il ministro dell’Agricoltura dice che «tutta la classe dirigente del partito deve mettersi in discussione». E invoca una «nuova Fiuggi che rifondi An suoi valori che sono tipici della destra, non solo italiana». Con il voto di domenica e lunedì, Alemanno è convinto che Fini stia vivendo il momento di sua maggiore debolezza politica da quando è alla guida del partito. E non esclude che nessun esito dal confronto durissimo che ci sarà domani all’ufficio di presidenza a via della Scrofa e poi all’Assemblea nazionale del 2-3 luglio. Intanto vuole capire se coloro che fanno quadrato attorno al leader lo seguiranno fino in fondo. Alemanno non si fa illusioni: sa di non avere oggi una maggioranza per ribaltare i rapporti di forza. Ma sfrutta il vento, il malcontento di Mantovano, della base del partito, i mal di pancia di Landolfi, pensa che i continui strappi di Fini facciano franare certezze in bilico. E per spingere in questa direzione, pianta sul campo di battaglia una serie di ostacoli: il primo è il no al partito unico; il secondo è far uscire allo scoperto il vicepremier: «Dove ci stai portando? Il tuo futuro politico coincide ancora con quello nostro?». La «pax finiana» costruita attorno al triumvirato La Russa-Matteoli-Alemanno si è disintegrata. E a via della Scrofa sembra ritornata la balcanizzazione, con gli schemi di prima. Per cui gli esponenti di Destra Protagonista e di Nuova Alleanza a fare quadrato attorno al capo e Destra sociale all’opposizione. Dice La Russa: «L’esito del referendum non pone un problema di leadership. Senza demagogia, senza alzare la voce, senza resa dei conti, dobbiamo adeguare il nostro dibattito all’evoluzione della società italiana». A Matteoli di dimettersi da vicepresidente non gli passa per l’anticamera del cervello: «Non è un dramma che ci sia una maggioranza e una minoranza. L’unanimismo di facciata non giova a nessuno». In questo bailamme Francesco Storace per il momento sta alla finestra: sui temi di fondo la pensa come Alemanno; è stato lui per primo, alla vigilia del voto referendario, a chiedere a Fini di dire dove vuole portare An. Ma è consapevole che il partito potrebbe essere alla vigilia di un vero big bang, praticamente alla vigilia dell’inizio della campagna elettorale per le Politiche. Anche tra i suoi compagni di corrente c’è chi non capisce l’attendismo del ministro della Salute: «E’ l’uomo del giorno dopo». Storace, alla fine, farà pesare il suo ruolo, ma sicuramente non per mettere in discussione Fini. |