"Pensioni" Rivedere i coefficienti? Un falso spauracchio
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lunedì 22 gennaio 2007
Pagina 5 - Economia
Analisi I calcoli della Ragioneria dello Stato
Rivedere i coefficienti? Un falso spauracchio Assegni giù solo dell’1%
Stefano Lepri
ROMA
Tagli del 6-8% nelle future pensioni? Non è affatto vero. Chi protesta contro la misteriosa «revisione dei coefficienti di trasformazione» sembra convinto che succederà questo. Ma, tanto per cominciare, quanto è maturato fino adesso non sarebbe toccato. Solo le successive annate di contributi entreranno nel calcolo con i nuovi coefficienti. Ci vorrebbe qualche anno per avvertire la differenza: meno pesante di quanto temuto. La previdenza complementare sarà sufficiente a tamponare buona parte della perdita; chi andrà in pensione tra 15 anni perderebbe tra l’1% e il 4%.
I tecnici tentano di spiegare che non si toglierebbe nulla a nessuno. I contributi accumulati resterebbero intatti. Poiché gli italiani vivono più a lungo (oltre 2 anni di più, in media, rispetto a quando la riforma Dini fu varata nel 1995), il nuovo calcolo servirebbe a spalmare su un numero maggiore di anni la somma cui ciascun lavoratore o lavoratrice ha diritto in base ai versamenti. Se non lo si facesse, per sostenere i pensionati la collettività nazionale dovrebbe pagare molte tasse in più, fino al 2% del Pil fra 35 anni (30 miliardi di euro alle cifre di adesso).
Senza interventi le pensioni ricadranno sulle spalle dei giovani. Che peraltro fanno i conti con un altro spauracchio: a loro toccheranno pensioni inferiori al 50% dello stipendio. Questo è un rischio per chi resterà a lungo precario. Ma il problema sta nel precariato e nei bassi contributi, non nel calcolo contributivo, che restituisce quanto versato durante la vita lavorativa. Con l’aggiornamento dei coefficienti, che per legge si doveva fare dal 2005 e il governo precedente ha rinviato, secondo la Ragioneria generale dello Stato, al livello medio del reddito da lavoro dipendente - 25 mila euro annui - la perdita effettiva mensile sarebbe del’1% circa per chi andrà a riposo tra 5 anni. Invece di avere una pensione netta equivalente al 79,6% del salario, la si riceverebbe al 79,0%; questo se si inseriscono nel calcolo anche gli effetti fiscali e i benefici della previdenza complementare. Guardando più in là nel tempo (con calcoli aleatori, come sono aleatorie tutte le previsioni economiche), e nell’ipotesi che i «coefficienti di trasformazione» vengano regolarmente rivisti ogni 10 anni, il dipendente che lascerà il lavoro tra 15 anni avrebbe una pensione al 76,4% del salario, dunque circa il 4% inferiore al livello attuale.
Per i redditi più bassi di 25mila euro la perdita sarebbe inferiore. Anche al netto della previdenza complementare, che per ora non riguarda i pubblici dipendenti, per chi andasse in pensione a 65 anni con 35 di contributi le variazioni sarebbero minime. Dall’attuale 70,5% del salario, chi toccherà i 65 tra 5 anni avrebbe il 69,8%, chi li toccherà tra 15 anni avrebbe il 68,9%. Lasciare a 60 anni, invece, sarebbe disincentivato: un quarantacinquenne di adesso saprebbe di poter contare tra 15 anni, se volesse mettersi a riposo a 60, su una pensione al 62,1% del salario.
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