«Nelle fabbriche turche c’erano baby-lavoratori»

mercoledì 21 maggio 2003
L’inchiesta del «Corriere» sui subfornitori di Benetton
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«Nelle fabbriche turche c’erano baby-lavoratori»
Le motivazioni della condanna contro il giornale: «Sbagliato dire che i capi erano made in Italy»
MILANO - «L’utilizzo, nelle aziende subfornitrici del licenziatario turco di Benetton, di lavoratori-bambini a cui non sarebbe stato permesso, per ragioni di età, di essere impiegati nella produzione» è «circostanza risultata sostanzialmente provata» dall’inchiesta del Corriere della Sera del 12 ottobre 1998, «la cui difesa ha fornito una serie di prove che dimostrano in termini di ragionevole certezza l’esistenza del fenomeno». Ma il giornalista Riccardo Orizio, che pure «aveva tutto il diritto di criticare una certa "leggerezza" nel scegliere il licenziatario da parte dell’azienda italiana e di denunciare il fatto che, comunque, il marchio italiano comparisse su beni prodotti in modo moralmente discutibile», ha sbagliato nell’«affermare in modo perentorio che in una di queste aziende venissero prodotti capi con il marchio "made in Italy" per conto dell’azienda italiana». Per questo Orizio il 16 aprile è stato condannato per diffamazione a 800 euro di multa, e il direttore Ferruccio de Bortoli a 400 euro per omesso controllo, seppure con le attenuanti per «la volontà di denunciare un fatto socialmente riprovevole quale lo sfruttamento dei minori». La querela sporta dal gruppo Benetton partiva dalla certezza espressa nel comunicato del primo dicembre 1998 sulla base di una «ispezione del ministero del Lavoro turco» in modo «chiaro e univoco: nessun minore risulta essere stato impiegato dalla società turca Bermuda, subcontractor di Bogazici che è la licenziataria turca di Benetton». Invece, nel materiale prodotto dal difensore Caterina Malavenda, le motivazioni della sentenza del giudice Enrico Manzi valorizzano le foto dei minori, un video successivo agli articoli, la testimonianza in aula della sindacalista italiana Silvana Cappuccio. E il «riscontro più solido circa la verità dei fatti denunciati nell’articolo», aggiunge il giudice, «è costituito da un fax, prodotto dalla parte civile ( cioè da Benetton, ndr), trasmesso il 29 settembre 1998 dal segretario del sindacato dei lavoratori tessili turchi al segretario del sindacato internazionale». Tuttavia, sui prodotti marchiati «made in Italy» (in realtà solo campionario), «è stata offerta ai lettori una ricostruzione distorta e tendenziosa della organizzazione produttiva del gruppo Benetton, suggerendo l’idea che anche capi apparentemente prodotti in Italia fossero realizzati in Turchia con l’utilizzo illegale del lavoro minorile, sfruttato con la complicità di alcune aziende locali». Di qui la condanna anche a pagare al gruppo Benetton, patrocinato dal professor Oreste Dominioni, un risarcimento di 25 mila euro contro i 330 mila chiesti: «Nella valutazione del danno - spiega il giudice - occorre tenere conto che una parte dei fatti denunciati, e cioè la sussistenza della piaga del lavoro minorile in Turchia, era vera; e anche che nel reportage era stato dato ampio spazio alle argomentazioni "difensive"». lferrarella@corriere.it
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Luigi Ferrarella
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