8/1/2007 ore: 11:49
"Inchiesta" «Un Cnel così non serve a nulla»
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Pagina 25 - Economia Inchiesta L’Italia degli sprechi «Un Cnel così non serve a nulla» pensava di eliminarlo Si risparmierebbero 16 milioni di euro ROMA Come sempre in questi casi ci si divide tra Giacobini e Girondini. I primi, capitanati dall'ex ministro del Lavoro Cesare Salvi, vogliono un taglio netto: soppressione. Gli altri, fra cui molti consiglieri, parlano di riforma, rinnovamento, rinfresco. Ma tutti sono consapevoli di una cosa: il Cnel, il Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro, così com'è non può più funzionare. La macchina si è inceppata. E ora la scelta è solo più tra meccanico o sfasciacarrozze. Cinquant'anni di storia economica e lavorativa del Paese sono difficili da digerire. Lo sa bene Raffaele Vanni, consigliere in quota Uil, nel Cnel fin dall’anno di fondazione (1958): «È necessario cambiare formula. Negli anni Cinquanta non esisteva la consultazione delle parti sociali e il Cnel era il luogo adatto. Oggi non è più così. Il Cnel si limita a fornire pareri e studi, ma fare i fotografi è riduttivo. Bisogna offrire strumenti in prospettiva, solo così il Cnel può rinnovarsi». Le aspettative riformistiche di Vanni, tuttavia, si scontrano con i giudizi tranchant dei «giacobini». «Il Cnel è solo uno spreco, faccio fatica a trovare una sua utilità oggi» dice senza mezzi termini Cesare Salvi. Il senatore Ds, in novembre, ha proposto di ridurre il numero dei parlamentari, eliminare le province e sopprimere enti inutili (tra i quali il Cnel)recuperando 6,5 miliardi di euro. La proposta sembrava aver stuzzicato l’interesse del premier Prodi, ma altrettanto rapidamente è stata dimenticata. «Speriamo ne parlino al conclave - dice Salvi -. Sarebbe un provvedimento giusto e popolare, che di questi tempi non guasta». Sopprimere il Cnel, per Salvi, è ormai un chiodo fisso. «Diciamocelo, oggi chi ha svolto una lunga carriera nelle associazioni di categoria o nel sindacato ha due strade: la pensione o una poltrona al Cnel». Per questo già ai tempi della bicamerale di dalemiana memoria il senatore l’aveva proposta. «Non appena se n’è parlato però - ricorda Salvi - le associazioni hanno chiesto di incontrarmi. Avevano un’unica richiesta compatta: non sciogliere il Cnel. Succede spesso con i centri di potere». Non sono solo le associazioni, però, a fare resistenza. I 10 dirigenti del Cnel sono i meglio pagati dell’amministrazione pubblica, eppure solo due di loro sono laureati in materie in effetti utili al consiglio: economia e statistica. «Il Cnel non ha mai goduto di autonomia nella struttura - ricorda il consigliere storico Vanni -. E questo oggi lo frena. Siamo sotto organico di 30 unità. Sarebbero da assumere tutti neolaureati in scienze giuridiche, economiche e statistiche». L’idea è quella di incrementare le specializzazioni interne per non dover andare a pescare consulenze esterne, ma i tempi sono lunghi: forse se ne avvarrà la prossima legislatura. Il presidente Antonio Marzano e i due vicepresidenti sono consapevoli del momento di difficoltà e della necessità di una riforma. «Sul bilanci paghiamo lo scotto degli anni passati - dice Vittorio Fini, vicepresidente targato Confindustria -. Tremonti ha dimezzato i fondi per la ricerca. Per questo possiamo investire solo l’8%. Le altre sono spese fisse». Ma rinnovare, per Fini, si può. «È al lavoro una commissione che sta valutando un nuovo regolamento - anticipa -. Stiamo prevedendo norme meno tassative sull’unanimità dei pareri e un nuovo sistema di consulenze che diminuisca la discrezionalità dei presidenti di commissione». Come dire, un lavoro più organico e quindi controllabile. Dovrebbe scomparire anche l’indennità fissa per i consiglieri, sostituita da un più consono gettone di presenza. Ma tra «giacobini» e «girondini» la battaglia è ancora aperta. |