"Cult&Info" Un Pieno di Colza Super (J.Fo)
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lunedì 16 maggio 2005
da domani in edicola con «l’Unità»
Un Pieno di Colza Super
Jacopo Fo
Una bella mattina milioni di italiani, guardando la televisione, hanno scoperto l’impensabile: il loro diesel poteva essere alimentato anche con olio di colza. E, aspetto ancor più stupefacente della questione, quest’olio vegetale veniva venduto in alcuni supermercati a 0.65 euro al litro. Poco più della metà del diesel normale. Il giorno dopo l’olio di colza spariva da tutti i supermercati del Nord Italia e passeggiando per le strade si sentiva uno strano odore di pop-corn. Ma per capire cosa sia successo e perché, dobbiamo fare un passo indietro, a quando iniziò tutta questa storia, più di cinque anni fa.
Un giorno mia madre, Franca, parlando con un gruppo di socie della Puliscoop di Forlì, scoprì che queste donne avevano avuto un’idea geniale. Il loro lavoro consisteva nella manutenzione dei giardini pubblici e con i loro mezzi agricoli si trovavano a lavorare in mezzo ai bambini che giocavano e si erano accorte che li asfissiavano con i gas di scarico. «Possibile che non ci sia qualche cosa di meno puzzolente e velenoso per far andare un trattore o un camion?». Si erano informate e avevano trovato la soluzione sostituendo il diesel con biodiesel, una miscela formata dal 90% di olio di semi (generalmente colza, ma tutti gli olii vegetali vanno bene, è solo una questione di prezzo) e 10% di alcool. Così non gasavano più i bambini. A mia madre sembrò una cosa incredibile. «I diesel vanno a olio? Tutti?» esclamò sbalordita e iniziò a informarsi. Il Comitato «Un Nobel per i Disabili» aveva ricevuto una generosa sponsorizzazione da Autogerma (Volkswagen). Quindi Franca telefonò chiedendo di poter parlare con i loro tecnici. Fu stupefatta nello scoprire che tutte le auto del gruppo Volkswagen erano omologate per essere alimentate a biodiesel. Non solo, si trattava di un carburante talmente migliore del gasolio che la squadra di rally della Volkswagen aveva scelto di alimentare le auto durante le gare, vincendo i campionati mondiali dei quell’anno (1999). E così scoprimmo che molti motori diesel (tedeschi, francesi, svedesi) erano già omologati per funzionare con il biodiesel, dal momento che lo si utilizzava da tempo nel resto dell’Europa. Scoprimmo anche che le altre auto, nell’usare il biodiesel, avevano solo problemoi provocati da tubi e guarnizioni che si scioglievano a contatto con l’olio di semi. Ma alcuni meccanici avevano iniziato da tempo a eseguire modifiche per ovviare a questo inconveniente con una spesa intorno ai centodieci euro. Nessuno di noi aveva mai sentito parlare di questo biodiesel e ben presto ci rendemmo conto che era una possibilità per ridurre l’inquinamento quasi sconosciuta in Italia, almeno dal grande pubblico. Quando se ne parlava la gente ti guardava spesso come se fossi un marziano ubriaco: «Olio nel motore?!?».
Allora per dimostrare che il biodiesel funzionava mia madre si fece dare da Volkswagen un’auto omologata per questo carburante, installò un serbatoio di biodiesel in giardino e iniziò a spargere odore di pop-corn in tutta la riviera romagnola. Iniziò così una campagna d’informazione portata avanti tramite Cacao, il quotidiano delle buone notizie, assemblee e manifestazioni. Il biodiesel inquina di meno, è ottimo per il motore, non aggiunge anidride carbonica nell’atmosfera, ha un rendimento superiore del 3% rispetto al gasolio, è più pulito e perciò non intasa i filtri e non lascia residui e incrostazioni. Inoltre si incendia difficilmente, non è tossico e se per un incidente si disperde nell’ambiente non crea disturbi perché è completamente biodegradabile. Inoltre la colza è una pianta molto fruttifera e facile da coltivare. Si possono ottenere due raccolti all’anno e sarebbe ottima per mettere a frutto i terreni che per accordi con l’Unione Europea siamo obbligati a non coltivare con piante alimentari (in Europa si produce troppo cibo). Invece di finanziare i contadini per non coltivare la terra potremmo produrre colza come si faceva un secolo fa, quando le lampade a olio, in tutta Europa, erano alimentate con l’olio ottenuto da questa pianta. Oltre all’uso del biodiesel come propellente non inquinante, nel resto d’Europa si iniziavano a vedere raccoglitori di olio fritto nei quali le massaie versavano la loro frittura ottenendo in cambio un buono per acquistare biodiesel alla pompa di carburante. Era il 2000. Si sarebbe potuto realizzare la stessa innovazione anche in Italia. Invece ancora si sprecano soldi per «smaltire» questa ricchezza: buttarla via è un costo per le casse dello Stato.
Chiaramente il biodiesel da solo non è in grado di risolvere tutti i problemi dell’inquinamento, ma mentre aspettiamo l’auto elettrica, a idrogeno o ad aria compressa, nonché trasporti pubblici efficienti, può aiutarci a diminuire il disastroso impatto dei combustibili fossili.
Questa è l’anticipazione di un brano di «Olio di colza e altri 30 modi per risparmiare, proteggere l’ambiente e salvare l’economia», il libro che troverete da domani in edicola con «l’Unità». Lo ha scritto Jacopo Fo assieme a Dario e a Franca Rame, ma ci sono i contributi anche di Simone Canova, Maurizio Fauri, Maurizio Pallante, Maria Cristina Dalbosco.
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