28/1/2005 ore: 11:52
"Commenti&Analisi" Salari legati alla produttività, lo «scatto» che manca (M.Tiraboschi)
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venerdì 28 gennaio 2005 OCCUPAZIONE / LA VIA DELLA MODERNIZZAZIONE Salari legati alla produttività, lo «scatto» che manca Molti passi avanti ma la legge Biagi non basta Innovate le regole, occorre un cambio di mentalità Da allora, nonostante una crescita limitata (Pil +0,3) e una perdita di produttività del lavoro (-0,2) il nostro mercato del lavoro ha registrato un trend positivo. La disoccupazione è scesa per la prima volta sotto la media europea. Costante, per contro, è l'incremento della occupazione stabile e di qualitá, con particolare riferimento al nuovo lavoro a tempo parziale della riforma Biagi. Dopo decenni di espansione senza limiti si contrae pure la voragine del sommerso. Eppure il nostro mercato del lavoro resta ancora inesorabilmente tra i peggiori sullo scenario internazionale. È questo l'amaro verdetto presente nei Grandi orientamenti di politica economia e nella proposta di Rapporto congiunto sulla occupazione della Commissione Europea. Il ritardo accumulato negli anni passati rende deboli e incerti gli sforzi di avvicinarci alle migliori esperienze europee, che pure non sono di per sé particolarmente soddisfacenti nello scenario globale. Il tasso di occupazione, pur continuando a crescere, rimane inchiodato a un misero 56,1. Molto al di sotto della media europea. Stentano a decollare le "flessibilità normate" della riforma Biagi. Mentre il lavoro sommerso resta largamente radicato e, quel che più rileva, con tassi tre/quattro volte superiori a quelli che si registrano presso i nostri principali competitori. Nonostante un continuo incremento, i tassi di partecipazione di giovani, donne e anziani sono i più bassi d'Europa. I già marcati divari territoriali aumentano. I livelli di istruzione e i tassi di partecipazione dei lavoratori ai percorsi formativi sono largamente al di sotto della media comunitaria. La dispersione scolastica è la più alta d'Europa e — come giustamente rileva il Rapporto congiunto sulla occupazione — si registra un significativo scollamento tra quello che i programmi formativi delle Università offrono e quello di cui il mercato del lavoro ha bisogno. In questo contesto, afferma a chiare lettere la Commissione Europea, non aiutano certo a modificare la precaria situazione del mercato del lavoro italiano gli attuali assetti della contrattazione collettiva, troppo burocratizzati e centralizzati. Quando invece — si legge nel Rapporto sull'occupazione — l'Italia dovrebbe urgentemente accompagnare l'evoluzione dei salari in base agli sviluppi della produttività. Il che impone una riforma della contrattazione collettiva, tale da fornire risposte concrete e più articolare in funzione delle esigenze dei mercati locali del lavoro. Segnali positivi, in questo senso, vengono unicamente dal settore dei servizi e della distribuzione e dalla riforma degli assetti contrattuali dell'artigianato che, a parere della Commissione, rappresentano modelli positivi da seguire. Nel complesso si registrano forti sollecitazioni sia per il Governo sia per le parti sociali ancora invischiate in una polemica tutto sommato modesta, e di taglio provinciale, sulla bontà della riforma Biagi del mercato del lavoro. Indicativa è, al riguardo, una lettura incrociata tra le considerazioni sviluppate nei Grandi orientamenti di politica economia e gli indicatori contenuti nella proposta di Rapporto congiunto sulla occupazione della Commissione Europea. Mentre il primo documento, attento alle riforme strutturali, segnala infatti come l'Italia abbia compiuto importanti passi in avanti con la riforma del mercato del lavoro, il secondo, nel registrarne gli stadi di concreta attuazione, evidenzia come si sia ancora largamente ineffettiva nella prassi applicativa. Tanto da farci assegnare dalla Commissione un clamoroso insufficiente proprio sul tanto dibattuto tema della flessibilità del lavoro! Insomma, nonostante la legge Biagi ancora poco è stato fatto sul fronte della modernizzazione del mercato del lavoro. Con il che si evidenziano tutti i limiti — e i paradossi — del caso italiano. Perché oggi le riforme del quadro regolatorio sono state portate a definitivo completamento, almeno sulla carta. Manca ancora, tuttavia, quel necessario cambiamento di mentalità degli attori del sistema di relazioni industriali che solo può consentire di cambiare il Paese reale e di avvicinarci agli obiettivi cui ci richiama l'Europa oramai da troppo tempo. |