"Commenti&Analisi" La morte dei co.co.co. ridarà vita al sommerso (M.LoCicero)
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giovedì 15 gennaio 2004
I NUOVI “CONTRATTI A PROGETTO” ANTICAMERA DELL’ILLEGALITA’
La morte dei co.co.co.
ridarà vita al sommerso
di Massimo Lo Cicero
Co.co.co è un acronimo singolare che indicava, per larghissima
parte, i collaboratori coordinati e continuativi, nella
prestazione dei propri servizi, che non erano lavoratori dipendenti.
Essi erano, insomma, singolari anelli di una catena
organizzativa senza che il loro lavoro avesse le caratteristiche
del salariato, ai sensi dei contratti collettivi. L’acronimo
è scomparso di recente dal panorama normativo del diritto
del lavoro ed è stato sostituito, insieme con i contratti di formazione
e lavoro, da contratti di progetto. Contratti
che si risolvono al conseguimento dei traguardi
del progetto al quale sono collegati. Si
leggono - in questo tentativo di descrivere minuziosamente
i caratteri singolari di un rapporto
lavoro che si esaurisce nel tempo - la speranza
e la illusione di poter restituire, per una via
traversa, un grado di flessibilità organizzativa
alla gestione dell’impresa. Ma questo riconoscimento
del fatto che la dimensione e l’articolazione
dell’impresa non possano essere rigide
verso il basso, e non debbano essere necessariamente stazionarie
o crescenti, è ambiguo nella sua formulazione e devastante
nelle sue conseguenze operative. Se salgono o scendono
le dimensioni della domanda aggregata, e del mercato,
dovrebbero salire e scendere, in parallelo, anche quelle
degli organici aziendali. Altrimenti i salari diventano un costo
fisso, cioè indipendente dalle dimensioni della produzione
realizzabile, e strozzano le imprese nelle fasi di congiun-
tura calante. Strozzano, peraltro, solo le piccole imprese: perché
le grandi imprese possono avviare procedure di licenziamento
collettivo mentre è molto più difficile, per un impresa
dalle dimensioni limitate, liberarsi di un collaboratore incapace
o ridurre di poche unità il proprio organico in presenza
di una pesantezza del ciclo congiunturale.
Ma non si tratta solo di fornire tutele contrattuali, che
non siano ridondanti nella descrizione né mortificanti per
l’impresa, a chi presta la propria opera nell’ambito di cicli industriali
strutturati. I lavoratori coordinati e continuativi abbondano
nei così detti nuovi mestieri: nel vasto
mondo dei media, alimentato dalle innovazioni
nella tecnologia della comunicazione; nel
mondo dei servizi informatici; nel mondo delle
grandi reti commerciali ed in quasi tutti i lavori
che richiedano creatività e competenze specifiche,
non facilmente controllabili attraverso
standard di prestazione. Praticamente nella
gran parte dei lavori che dominano la scena
contemporanea. Tutti coloro che svolgono
queste attività dovranno - per evitare le forche
caudine di una normativa troppo prescrittiva - rassegnarsi a
diventare cittadini del popolo delle partite iva o dovranno
scegliere di tornare nel mondo dell’economia sommersa,
dell’illegalità e del lavoro nero. Essi, in altre parole, dovranno
rinunciare alla tutela formale del proprio rapporto di lavoro
o dovranno scontare notevoli costi di transazione per
gestire ed amministrare una posizione iva, di cui non avvertono
assolutamente la necessità. Essi, invece, potrebbero
tranquillamente definire i tempi e le modalità delle proprie
prestazioni; far versare una ritenuta di acconto agli utilizzatori
delle loro competenze e capacità; aderire ad una gestione
speciale previdenziale; saldare, in sede di dichiarazione
annuale dei redditi, eventuali ulteriori debiti di imposta.
Tutto questo gli viene impedito da una legislazione che
prevede, al contrario, di farli inquadrare come dipendenti:
irrigidendo sia il loro rapporto di lavoro che la capacità
dell’impresa di gestire le loro prestazioni. In alternativa
possono uscire dalla legalità ed entrare in un regime di
economia sommersa,insieme con il proprio datore di lavoro,
oppure subire il maggior costo del regime iva. La scelta
dominante sarà probabilmente quella della illegalità e
quella scelta produrrà la scomparsa di una quota ulteriore
della base imponibile: con qualche sacrifico delle stesse ragioni
dell’Erario. Ma perché creare costi e difficoltà per chi
sarebbe disponibile a cercare una propria autonomia nell’approccio
al mercato del lavoro? Ironia della sorte, mentre
scompare la figura del co.co.co nel mercato privato essa
sembra tornare nelle strutture universitarie. Si legge,
nelle anticipazioni di stampa, che la futura legge delega per
la riforma dell’Università farà scomparire il ruolo dei ricercatori
- che diventerà un ruolo ad esaurimento - mentre
i nuovi ricercatori saranno trattati come collaboratori
coordinati e continuativi. E perché non inquadrarli come
collaboratori di progetto? Una modalità che nell’Università
sarebbe anche praticabile ma sembra altrettanto velleitaria
ed ingestibile, da parte dell’amministrazione pubblica,
di quanto non appaia esserlo nell’industria.