Assemblea Generale Filcams Cgil 7/8 ottobre: la relazione del Segretario Generale
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Carə compagnə bentrovatə,
in giro per l’Europa, in Italia con una partecipazione particolarmente ampia e intensa, stiamo vivendo giornate di una grande, promettente, inattesa mobilitazione sociale. La vicenda della “flotilla” fermata in mezzo al Mediterraneo, in acque internazionali, da un atto di vera pirateria di Israele, è stata come la goccia finale che ha spinto milioni di cittadine e cittadini, di lavoratrici e lavoratori a spendere ore del loro tempo – di lavoro, di vita – per dire no al genocidio di Israele a Gaza, no a questa furia criminale che sta uccidendo insieme a decine di migliaia di palestinesi anche le tracce faticosamente segnate nei decenni di legalità internazionale. È una protesta pacifica ma molto arrabbiata, più forte dell’eterna stupidità di qualche vetrina sfondata e più forte dei silenzi, dei balbettii dei nostri governi, assordante più di tutti il silenzio del governo Meloni, sui crimini israeliani nella Striscia di Gaza e nella stessa Cisgiordania.
È questo il passo di avvio di un movimento destinato a crescere e a radicarsi? È il segno di una protesta sociale che certo ha nel cuore e nella mente le immagini strazianti dei gazawi trucidati, della fame utilizzata come arma di guerra, ma che contiene ragioni ancora più larghe? Una lettura compiuta del senso di queste giornate appare prematura, e azzardato prevedere se queste piazze avranno un futuro. Ma qualcosa di inedito sta di sicuro succedendo.
Oggi, 7 ottobre, sono due anni dall’orrendo massacro di civili israeliani da parte di Hamas, due anni da quando Israele ha cominciato la sua vendetta mettendo in atto un progetto sistematico di sterminio e di pulizia etnica dei palestinesi della Striscia e di persecuzione dei palestinesi della Cisgiordania. Da due anni una moltitudine di associazioni, gruppi, reti è impegnata per denunciare il genocidio di Gaza, per chiedere libertà e diritti per il popolo palestinese. Solo da pochi giorni però, qui un possibile punto di svolta, questo fermento ha incontrato un sentimento, una sensibilità, un impeto, che coinvolgono una parte importante del nostro come di tanti altri Paesi.
Su questi due anni dal 7 ottobre 2023 è importante una puntualizzazione. È passata spesso, in molti media e in generale nel dibattito pubblico, l’idea che ogni critica radicale e le stesse accuse di genocidio verso Israele siano forme implicite di antisemitismo. Questa identificazione, il più delle volte proposta in malafede, è naturalmente del tutto inaccettabile, finalizzata a teorizzare per Israele una sorta di impunità preventiva. Al tempo stesso, dobbiamo essere consapevoli che suggestioni antisemite, per esempio fondate sulla confusione tra Israele e mondo ebraico, continuano a scorrere quale sangue infetto nelle vene dell’Europa, oggi pretestuosamente amplificate da quanto sta accadendo a Gaza come nell’attentato di qualche giorno fa alla sinagoga di Manchester: la memoria tragica, non così lontana, dell’antisemitismo novecentesco, impone a tutti noi e impone ai movimenti di solidarietà con i palestinesi di Gaza e Cisgiordania rigore assoluto nel respingere anche la più piccola manifestazione di antisemitismo.
Tornando all’esplosione di cittadinanza attiva di queste settimane: ci sarà tempo e modo di analizzarne in profondità profili e contenuti, ma alcuni suoi caratteri sono già evidenti. A manifestare sono moltissimi giovani e giovanissimi, sono famiglie, è la società civile “quotidiana ed ordinaria”, sono spesso persone “comuni” senza nessuna abitudine di militanza. Cittadine e cittadini appunto, non più solo spettatori più o meno indignati, magari commentatori “da tastiera” o da talk televisivo, del genocidio di Gaza, ma che sentono il bisogno, il dovere di mettersi in gioco fisicamente, di agire in qualche modo il proprio “corpo” contro la carneficina messa in atto da Israele ma anche e molto contro chi in Europa, ostinatamente, non ha voluto occuparsi neanche dell’annientamento sistematico, prolungato nel tempo, feroce, di un’intera popolazione inerme. Contro un governo, nel caso dell’Italia, che assiste immobile a uno sterminio di civili che si consuma a poco più di 2000 Km da noi; che non ha mostrato empatia neppure davanti all’impresa pacifica e generosa di un gruppo di attivisti, molti di loro italiani, imbarcati su quaranta navi dirette a Gaza decisi a supplire – di nuovo, con il proprio “corpo”, alle miopie e vigliaccherie delle classi dirigenti di mezzo mondo. Navi sulle quali, avessimo avuto un po’ di coraggio e intraprendenza, forse avremmo dovuto esserci anche noi. Il silenzio del governo Meloni su Gaza, la sua ostentata irrisione verso il diritto di sciopero di lavoratrici e lavoratori e verso la protesta pacifica di milioni di italiane e italiani scesi in piazza, non sono naturalmente una sorpresa: cos’altro aspettarsi da un governo che oscilla tra ambiguità e servilismo in politica estera, che innalza muri e predica deportazione contro i migranti, che rifiuta il libero dialogo con la stampa, che fa quadrato a protezione di ministri e sottosegretari inquisiti e indifendibili?
Non desta dunque meraviglia, dunque, semmai fa bene al cuore e alla mente, che la tragedia di Gaza, sommata ai tanti drammi sociali e personali che attraversano l’Italia, abbia fatto nascere un grande fiume di esasperazione, abbia dato voce a una voglia diffusa di pace, di dignità, di riscatto sociale. Di umanità come diremmo noi.
Queste piazze ci riguardano da vicino anche come sindacato. Perché nella nostra storia abbiamo sempre collocato il nostro impegno in un orizzonte ampio, nel quale la dimensione dei diritti da difendere – sociali, civili, umani – è unica. A noi come rappresentanza, tocca il compito urgente non solo di analizzare e capire lo spirito e le ambizioni di questa inedita mobilitazione, ma di partecipare e contribuire a essa agendo fino in fondo la nostra responsabilità e dimensione trasversale di soggetto sindacale, di portatori di piattaforme culturali e politiche. In piazza la Cgil è scesa con decisione, chiamando allo sciopero generale. Ma la complessità della piazza va guardata anche come potenzialità, ricchezza e opportunità di crescita per noi, come terreno fertile su cui giocare le nostre sfide e conquistare nuovi avanzamenti.
Voglio ripeterlo. In questi giorni nelle piazze e nelle strade delle città italiane, in alcune un po’ di più in altre un po’ di meno, si respira aria nuova: nuova nell’anagrafe di tanti che manifestano, nuova nello spirito che la anima. Studentesse e studenti delle scuole superiori e delle università, ragazze e ragazzi anche più giovani e bambine e bambini con le loro famiglie, le loro classi e i loro insegnanti; e poi tante persone adulte, alcune nuove e altre ritrovate, anche tra le nostre delegate e i nostri delegati. Tutte e tutti accomunati da un senso di impotenza, da un desiderio sia istintivo che razionale di reazione, rispetto ad una tragedia immane che nel mondo attuale dominato dalle immagini si sente ancora più vicina di quanto davvero non sia. Tutte e tutti, ancora, che nel nome di Gaza e però anche dei propri bisogni sociali e personali, di lavoro e di vita troppo spesso negati, portano all’aperto, allo scoperto la voglia di gridare “basta”.
Capita, così, che la condivisione di tante fragilità frammentate si faccia forza collettiva, secondo un meccanismo che ben conosciamo e che ci ha consentito, ha consentito spesso anche alla Filcams, di ottenere conquiste che in altro modo non saremmo riusciti a raggiungere. E chi anche vicino a noi liquida questa “sollevazione” come la reazione emotiva di un momento, dettata esclusivamente da ciò che accade dall’altra parte del Mediterraneo, chi non vede che questa emozione e questa rabbia hanno un forte e profondo significato politico, non sa o fa finta di non sapere che da anni le nostre analisi, l’impegno dei nostri delegati, le nostre lotte parlano di storture della globalizzazione, di collegamenti tra nuovo ordine mondiale, oppressione dei lavoratori e difesa dei diritti di tutte e tutti, in Italia e all’estero, diseredati, lavoratori precari, migranti. Perché tutte e tutti siamo chiamati a resistere o a soccombere alle aggressioni e alle ingiustizie del neocapitalismo digitalizzato.
La discussione che ci attende da oggi, che con piena evidenza non può prescindere dalle novità del contesto appena descritto, non è semplice né scontata, oltreché per il suo merito anche per i tempi, rapidissimi, di successione degli eventi che la circondano e condizionano; tempi ed eventi sui quali siamo nelle condizioni di incidere solo parzialmente, molto parzialmente. Nell’affrontarla, dobbiamo evitare ogni rischio di analisi e approcci velleitari, che significa ragionare solo degli obiettivi che con impegno, sforzo, tenacia anche estremi siamo realisticamente nelle condizioni di raggiungere. Esattamente come abbiamo fatto negli ultimi tre anni per arrivare a 17 rinnovi contrattuali.
Tre premesse devono nutrire il nostro impegno.
È vero, è senz’altro vero: dalla passione, dal sentimento, dallo slancio che vediamo intorno e in mezzo a noi in questi giorni, dobbiamo – dopo averli bene capiti - trarre più forza e nuova linfa.
È vero, è senz’altro vero: alla passione, al sentimento, allo slancio, di questi giorni, dobbiamo partecipare e dare massimo sostegno.
È vero, è senz’altro vero: la passione, il sentimento, lo slancio di questi giorni, devono spingerci a nuove conquiste, ad avanzamenti e traguardi ulteriori per le lavoratrici e i lavoratori dei nostri settori e per tutta quella parte del Paese che convive ogni giorno con condizioni di fragilità, con sofferenze, e che ogni giorno testimonia capacità di resistenza.
Ancora, sono almeno quattro le questioni per noi più urgenti, alle quali già da oggi dobbiamo cominciare a dare risposte e sulle quali abbiamo la responsabilità, l’obbligo di impegnarci.
· La prima: come la Cgil e la Filcams possono e devono entrare in relazione con questa parte del Paese;
· La seconda: con quali alleanze gestire questa fase di mobilitazione, e in particolare come articolare il nostro rapporto con il sindacalismo autonomo, di base, movimentista;
· La terza: quali le prospettive per il sindacalismo confederale, anche in considerazione dei nostri rapporti con Cisl e Uil di categoria;
· La quarta: come reagire di fronte a una politica che per una parte è assente e per un’altra usa linguaggi e compie scelte di sopraffazione, come nelle minacce, nelle intimidazioni, nelle provocazioni venute in questi giorni da figure apicali dell’attuale governo a cominciare dalla presidente del consiglio Meloni (week-end lungo) e dal vicepremier Salvini (attacco al diritto di sciopero).
Da come scioglieremo questi quattro nodi dipende anche la scelta del modello di azione sindacale che vogliamo sviluppare, perciò è necessario che su di essi ci confrontiamo come categoria e definiamo un nostro punto di vista e contributo.
Andando per ordine
1. Credo che il nostro approccio alle manifestazioni di questi giorni debba essere di avvicinamento, di ascolto, di attenzione verso le persone che si stanno mobilitando, in primo luogo i più giovani. Dobbiamo imparare a interloquire, a dialogare, anche a “contaminarci”, con tante e tanti con i quali non abbiamo quasi mai interloquito e dialogato, con tanti altri con cui da tempo abbiamo smesso di farlo o con cui non lo abbiamo fatto adeguatamente e a sufficienza. Serve dismettere ogni tentazione pedagogica e paternalistica, che questo dialogo impedirebbe. Serve empatia verso centinaia di migliaia di donne e di uomini che mostrano di condividere i nostri stessi valori ma appartengono a mondi, sensibilità diversi dai nostri. Dobbiamo guardarle bene in volto queste centinaia di migliaia di persone: studenti, insegnanti, lavoratrici e lavoratori, intellettuali, associazioni del mondo laico e cattolico. Questa moltitudine che in gruppo o individualmente ha scelto, perché lo ha scelto, di scendere in piazza, sfugge a una logica intersindacale o intrasindacale e tanto meno può essere ricondotta a un fenomeno spontaneistico e prepolitico: se negassimo a questo movimento dignità politica, se non vedessimo anche i caratteri di autonomia, saremmo verso di esso offensivi come lo è chi ci governa.
Solo in parte il tema che abbiamo davanti è quello classico della riconnessione tra società civile e mondo del lavoro: perché nelle piazze di questi giorni il lavoro dell’oggi, del domani e forse anche del dopodomani c’è ma sullo sfondo, pervade gli spazi della protesta ma come sottinteso. La sofferenza, almeno in questa fase della mobilitazione e non potrebbe essere diversamente, è quella di altri, delle bambine e dei bambini, delle donne e degli uomini, trucidati nel silenzio di quasi tutti, per anni e anni e con furia smisurata da mesi. Dunque in quello che sta succedendo nelle piazze italiane ci sono, certo, le nostre ragioni e anche le nostre persone, ma ci sono in una chiave originale e autonoma, rispetto alla quale non possiamo permetterci letture velleitarie o peggio fantasie egemoniche. In questo voglio fare esplicito riferimento agli strumenti da utilizzare per connetterci utilmente a questo nuovo contesto, in primo luogo in relazione alla vertenza della Filcams per l’Umanità del Lavoro e anche alla luce delle tante discussioni che abbiamo affrontato e continueremo ad affrontare.
2. In tema di rapporti con le varie sigle dell’arrembante sindacalismo autonomo e di base vorrei essere ancora più esplicito: sono soggetti con i quali non abbiamo mai avuto e con i quali continuiamo a non avere niente a che spartire; che non hanno nulla a vedere con noi, con la nostra storia, con il nostro presente e, mi verrebbe da dire, con il nostro futuro. Peraltro, osservo sulla base di plurime dichiarazioni rilasciate da esponenti degli stessi sindacati, che sono loro i primi a rimarcarlo in ogni circostanza utile, anche a margine delle stesse manifestazioni di venerdì e di sabato. Le nostre distanze rispetto al “Blocchiamo tutto” nelle sue diverse declinazioni, e a tutto ciò che gravita intorno a questa visione, sono siderali.
Altro è, e così è, se in una situazione di straordinaria gravità, come quella che sta caratterizzando questa fase storica, per una comune sensibilità si ritiene che mobilitazioni, iniziative, scioperi possano e debbano essere affrontati unitariamente nella perimetrazione più estesa possibile, e, a onore del vero, continua a lasciarci amareggiati che, quantomeno sul versante sindacale, questa sensibilità non sia stata e non sia unanime.
Non è immaginabile né sarebbe accettabile compensare le distanze, già definite o eventuali future, con Cisl e Uil stabilendo un’alleanza, o in qualsiasi altro modo la si voglia definire, con il sindacalismo autonomo e di base. Non è con ogni probabilità questa la sede per entrare nel merito di posizioni assunte dalla Cisl negli ultimi anni e ancora di più nell’ultimo periodo, e però non credo che la portata di questa discussione possa essere sottovalutata o banalizzata, innanzitutto in termini di prospettiva per il sindacalismo confederale e per il sindacalismo in generale nel nostro Paese. Ed è una discussione, è bene puntualizzarlo, che ci appartiene anche in relazione alle politiche, alle dinamiche, alle priorità delle categorie del terziario, ai rapporti tra Filcams, Fisascat e Uiltucs, che investe in pieno, tra l’altro, i temi legati alla definizione dei nostri assetti contrattuali e di rappresentanza, alla gestione di circa trenta contratti nazionali di cui abbiamo unitariamente responsabilità, della contrattazione di secondo livello e delle tante vertenze settoriali e aziendali che quotidianamente affrontiamo.
3. In tutto ciò, la parte della politica idealmente a noi più prossima continua ad apparire smarrita, distante, disattenta, avvitata su sé stessa, incapace di reagire ad una aggressività sempre più serrata, organizzata e diffusa dell’altra parte che mostra quotidianamente disprezzo per molti nostri valori fondanti. I messaggi intimidatori che arrivano dai vertici del nostro governo, più o meno sempre dello stesso tenore (il week end lungo, le “promesse” di precettazione…), non sono casuali né fini a se stessi: definiscono meglio di dotte analisi la matrice politico-culturale, tutt’altro che nuova, di buona parte dell’attuale schieramento di maggioranza.
Venendo a noi, a quanto ci riguarda più da vicino, la discussione di oggi deve porsi in continuità con l’impostazione che abbiamo definito nel nostro Congresso e che è stata fondamento della nostra azione negli ultimi tre anni.
Abbiamo molto discusso nell’ultimo periodo di come proseguire e rafforzare le nostre mobilitazioni di iniziativa confederale e di categoria; abbiamo ribadito a più riprese che avremmo utilizzato tutti gli strumenti a disposizione, individuandone e sperimentandone anche di nuovi.
La nostra vertenza per l’Umanità del Lavoro, i temi del contrasto alla precarietà e al lavoro povero, del superamento di condizioni di vita e di lavoro insostenibili, della lotta alla contrattazione e al lavoro irregolari continuano a rappresentare una priorità rispetto alla quale è necessario definire in termini di urgenza da parte di tutti noi, a tutti i livelli, ulteriori passi in avanti.
Un sindacato che non agisca, certo anche sulla base del conflitto, ma soprattutto per ottenere risultati concreti per tutte e tutti coloro che rappresenta, è destinato alla marginalità, all’ininfluenza, alla mera testimonianza.
E così, stiamo continuando a contrattare, ci stiamo mobilitando e stiamo mettendo in campo iniziative di lotta, stiamo agendo il contenzioso, stiamo progredendo nella formazione, stiamo innovando nella comunicazione, stiamo implementando la nostra attività internazionale. E però è indubbio, dobbiamo essere più incisivi, più rapidi, più efficaci.
Un piano articolato di lavoro, ricorrendo a tutte le misure a nostra disposizione, dicevamo.
In tal senso, dobbiamo riuscire a definire entro il mese di ottobre il rinnovo dei contratti nazionali del lavoro domestico e del portierato e, in tempi congrui, il rinnovo del contratto nazionale delle pulizie artigiane; con la presentazione della piattaforma a novembre dobbiamo avviare la fase di rinegoziazione del contratto della vigilanza e dei servizi di sicurezza ed entro la fine dell’anno dobbiamo verificare definitivamente le reali intenzioni di Confindustria in ordine ai contratti nazionali pulizie/multiservizi e alla gestione contrattuale del comparto della ristorazione collettiva.
Sono passaggi, tutti quanti rilevanti, che richiederanno particolare attenzione da parte della categoria e che ci porteranno al 2026, anno inevitabilmente volto alla preparazione della impegnativa tornata negoziale che ci attende per il 2027.
Nel contempo, dopo la prima riunione su “rappresentanza, democrazia e strumenti”, proseguiremo con le nostre discussioni in tema di “contrattazione inclusiva e lavoro in appalto” e di “contrattazione integrativa”, anche in considerazione dell’andamento del confronto che si sta svolgendo nel perimetro confederale nei “gruppi di lavoro” finalmente attivati, mantenendo in programmazione le assemblee settoriali delle delegate e dei delegati che si terranno, come già definito, dal 10 al 14 novembre.
Concluderemo questa fase della nostra elaborazione nell’ambito di una iniziativa The New Order che si terrà, come anticipato, il prossimo 26 novembre, a Roma.
È necessario che si porti poi a sintesi l’attività giuridico-legale e il contenzioso che abbiamo sostenuto nel corso degli ultimi anni e che ha rappresentato una leva strategica rispetto alla risoluzione di diverse vertenze, dai rinnovi contrattuali al contrasto alla contrattazione e al lavoro irregolari.
Per quanto riguarda la formazione, al di là di quanto già strutturato nel corso degli anni e implementato nell’ultimo periodo, è necessario definire tre nuovi ambiti di azione:
- un ambito di formazione politica – un po’ come si faceva una volta – iniziando da chi ha un’esperienza più consolidata in organizzazione ma prevedendo gradualmente un coinvolgimento più esteso;
- un ambito di formazione rivolto agli under 35, che ci permetta di tornare a discutere di politiche dei quadri e di prospettiva organizzativa;
- un ambito di formazione diretto alle delegate e ai delegati della nostra Assemblea generale, che consenta loro di prendere sempre maggiore confidenza con le nostre discussioni e ne agevoli la partecipazione; abbiamo necessità che le nostre elaborazioni, in considerazione della complessità della fase, si svolgano in un rapporto sempre più stretto con quello che accade fattivamente nei luoghi di lavoro.
Infine, per quanto attiene la nostra attività internazionale, per il 9 e 10 ottobre è prevista un’iniziativa seminariale rivolta alle delegate e ai delegati componenti dei comitati aziendali europei tra i cui obiettivi ci sarà la contestualizzazione delle nostre mobilitazioni e della nostra vertenza per l’Umanità del Lavoro anche rispetto alla situazione internazionale e agli strumenti riconducibili a quel perimetro.
Ci sono poi aspetti che interrogano direttamente il modo in cui organizziamo il nostro discorso pubblico, e che ci riportano alle mobilitazioni di questi giorni. Per esempio, credo che sarebbe un errore grave elevare ad argomento di dibattito, quantomeno in termini di priorità, il giudizio su alcune recenti valutazioni del Presidente della Repubblica rivolte ai componenti della “flotilla”, peraltro espresse con la sensibilità e il garbo che segnano gli interventi del presidente Mattarella. Il suo “invito” alla “flotilla” a evitare contatti con la marina israeliana era un atto istituzionalmente dovuto: che poteva essere accolto oppure no, ma considerata la situazione era un invito d’obbligo.
Questo tema non è tanto rilevante per noi rispetto al caso specifico. Lo è invece moltissimo in linea generale, perché interpella la considerazione che abbiamo o non abbiamo nei confronti degli organi supremi di garanzia - in Italia la Corte Costituzionale e il Presidente della Repubblica - che hanno il compito di assicurare il rispetto della Costituzione e il corretto bilanciamento tra i poteri dello Stato.
Ecco, questa considerazione non può essere a intermittenza, non può esserci o scomparire a seconda delle convenienze e delle contingenze; dobbiamo decidere tra noi se continuiamo a ritenere che ci siano dei limiti invalicabili nel giudizio politico, che preservano la tenuta democratica del nostro Paese e che tali peraltro abbiamo sempre considerato. Insomma: continuiamo o no a giudicare come terreni neutri da non mescolare nel dibattito sociale e politico le indicazioni del Presidente della Repubblica, i pronunciamenti della Consulta, il lavoro della magistratura, il rispetto delle leggi indipendentemente dal fatto che ci convincano o meno? O invece riteniamo che il contesto e la fase, o più precisamente la straordinarietà del contesto e della fase, possano giustificare il superamento di queste “soglie”?
E nel caso scegliessimo questa seconda opzione, quali pensiamo dovrebbero essere il soggetto o i soggetti legittimati a stabilire se ci si trova in uno di questi “stati di eccezione”? La Cgil? La Cgil con i sindacati autonomi? La Cgil con la Uil? E perché non la Cisl, o la Cisl con l’Ugl? E perché non le associazioni datoriali, che con ogni probabilità rivendicherebbero anch’esse la prerogativa di una simile decisione? O piuttosto, come è sempre parsa la via maestra, a decidere di eventuali “stati di eccezione” devono essere i soggetti costituzionalmente individuati, sulla base delle indicazioni e dei criteri costituzionalmente definiti?
Il sentimento, l’impeto, la passione che si stanno mostrando in queste giornate, con un bel pezzo d’Italia che si mobilita, che agisce, che scende in piazza, che occupa, che manifesta, che sciopera, è una grande occasione per il nostro Paese e lo è anche per noi. Possiamo agire come un collante di questo “mondo nuovo” che protesta, di questo mondo possiamo essere protagonisti ma liberandoci di ogni velleità di guidarlo, controllarlo. Ne siamo una parte, accanto ad altre parti.
Lo faremo, ancora una volta, il 12 e il 25 ottobre, con determinazione, con forza, con umanità, le nostre, come sempre.
Grazie compagnə e buona discussione.
Ordine del Giorno AG 7/8 ottobre 2025
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