1/3/2005 ore: 10:03
Meno disoccupati e meno lavoratori
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domenica 27 febbraio 2005 sezione: IN PRIMO PIANO - pagina 3 Meno disoccupati e meno lavoratori Una possibilità quest'ultima che potrebbe trovare conferma in un altro dato: la riduzione ( 7,1%) del numero di persone in cerca di occupazione rispetto al 2003. Si riduce cioè la quota di persone che si affaccia sul mercato del lavoro. Una flessione che riguarda soprattutto le donne ( 9,9% contro un calo del 3,6% degli uomini). Il perimetro, dunque, si restringe e diventa sempre più evidente quello che i tecnici definiscono effetto rinuncia. Si cerca meno lavoro perché è sempre più forte la consapevolezza che comunque non lo si troverà. Non a caso questa percezione coinvolge in particolare la fascia più debole del mercato, ovvero le donne. In uno scenario che nel complesso rimane positivo è proprio l'occupazione femminile quella che comincia a registrare il rallentamento. Per la prima volta la crescita tendenziale dell'occupazione ha riguardato esclusivamente gli uomini, ferma quella femminile. Oltre ai numeri il secondo aspetto di queste contraddizioni riguarda la qualità del lavoro. Esiste cioè, come ha denunciato l'ex ministro del Lavoro, Tiziano Treu, dalla pagine del Riformista, un rischio precarizzazione? I dati, è vero, indicano un aumento della percentuale degli occupati a tempo parziale, passati dal 6,5% del 1996 all' 8,5% del 2003, e dei contratti a tempo determinato ( 7,3% nel 1996, 9,9% nel 2003). Tuttavia « questi numeri restano al di sotto della media Ue », spiega il sottosegretario al Welfare, Maurizio Sacconi, che lancia invece l'allarme su un fenomeno che definisce « marginalizzazione dei giovani », attribuendone la responsabilità al sistema universitario. « I giovani — dice— si laureano troppo tardi, finendo per rimanere così troppo a lungo ai margini del mercato » . L'ultima rilevazione Istat poi sembrerebbe registrare un'inversione di tendenza: rispetto al terzo trimestre del 2003 l'occupazione a tempo pieno è cresciuta dell' 1% mentre quella a tempo parziale è scesa del 3,3 per cento. E allora, nessun pericolo precarizzazione? Non proprio. « I dati sugli ultimi avviamenti — spiega il professor Carlo Dell'Arringa — segnalano un aumento dei contratti atipici e flessibili, e anche delle partite iva. Una situazione questa collegata al fatto che le imprese non vedono la ripresa tanto annunciata » e quindi preferiscono non correre rischi e « inseguire la competitività investendo sui prodotti piuttosto che sulle assunzioni ». |