4/3/2010 ore: 10:33

Il Senato approva la legge che modifica l’Articolo 18

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Licenziare è più facile, la giusta causa non serve più. Il Senato ha approvato definitivamente una norma che, zitta zitta, aggira l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori e lascia ad un arbitro la decisione di decidere se un licenziamento sia giusto o no. L’arbitro decide «secondo equità».
LA SCELTA S’IMPONE
L’attacco all’articolo 18 questa volta è avvenuto in sordina, mentre le proteste, l’attenzione e le energie vengono spese per salvare posti del lavoro a rischio per la crisi. In pratica già nel contratto di assunzione e in deroga ai contratti collettivi, si stabilisce che in caso di contrasto, il datore di lavoro e il lavoratore si affidano ad un arbitrato. «È una scelta » dice il ministro Sacconi. Ma non occorre essere dei geni per capire che un disoccupato che voglia lavorare mette la firma e accetta l’arbitrato. L’opposizione e la Cgil parlano di controriforma. Guglielmo Epifani
ha annunciato di essere pronto a rivolgersi alla Corte costituzionale, «così si rende il lavoratore più debole ». Era stata proprio al Cgil, mesi fa a dare l’allarme su quanto stava accadendo. Della settimana scorsa invece l’appello dei giuslavoristi, tra questi Tiziano Treu, senatore Pd: «L’articolo 18 potrebbe diventare un optional», denuncia chiedendo al ministro Sacconi, insieme al collega Pietro Ichino, di non usare impropriamente il nome di Marco Biagi, autore
della norma a detta del titolare del Welfare. «L’articolo 31 del disegno di legge delega - spiega invece Treu - prevede due possibilità per ricorrere all’arbitrato. La prima attraverso contratti collettivi: le parti possono stabilire i limiti in cui l’arbitrato può essere esercitato. Poi, però, se le parti falliscono, può intervenire il ministro per decreto. C’è poi una seconda possibilità consentita dalla norma volute dal governo e dalla sua maggioranza. Ecioè che il singolo lavoratore accetti un accordo secondo cui il proprio contratto di assunzione preveda il ricorso all’arbitrato per risolvere le controversie». Questo nel disegno originale non c’era. Maurizio Sacconi è dunque riuscito laddove aveva fallito nel 2002, allora era sottosegretario, ma regista assoluto delle politiche del lavoro tento di abrogare l’articolo 18. A fermarlo furono 3 milioni di persone che il 23 marzo seguirono in piazza Sergio Cofferati in difesa dell’articolo 18, appunto, e contro il terrorismo. Quattro giorni prima, infatti, Marco Biagi era stato assassinato dalle Br.
La Cgil quella battaglia la portò a termine senza Cisl e Uil che avendo firmato il Patto per l’Italia avevano annacquato il contrasto alle politiche del governo. I sindacati sono divisi anche stavolta. I leader di Cisl e Uil, pur contrariati sembrano criticare più il metodo che il merito: «La politica regoli se stessa», dice Raffaele Bonanni, «i temi sociali vanno affidati alle parti, altrimenti sono palloni che si sgonfiano». Sulla stessa linea è Luigi Angeletti, «il tema deve
essere oggetto di confronto tra le parti».

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