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Il piccolo meccanico "Porto i soldi a casa" Bambini come adulti, non studiano e non giocano più
ROMA (r.d.g.) - "La fatica è come un ferro", continua a ripetere. Walter ha fatto come Pinocchio. Ha venduto il suo abbecedario e si è ritrovato con la schiena spezzata. Ora piange perché il lavoro è duro e nessuno ha rispetto per lui, gli fanno spazzare i pavimenti, lo mandano a comprare le sigarette. Quando è entrato in officina credeva di diventare un grande meccanico e arrivare un giorno ad aggiustare le Ferrari. Un bambino di 11 anni non ha potere contrattuale, non ha diritti e quando protesta la sua voce non si sente. Il piccolo Walter lavora in un'officina meccanica di Secondigliano, Napoli. Al di là della finestra vede i suoi amici che giocano a calcio dopo aver finito la scuola. "La scuola non mi piaceva - racconta - studiare quelle cose è inutile. Se io fossi il preside metterei due ore di fisica, due di meccanica, due di carrozzeria. Questa sì che sarebbe una bella scuola". Dice fisica, ma intende educazione fisica. Perché un bambino vuole correre e saltare: Walter salta giù dal letto la mattina all'alba e corre per andare al lavoro, respirare gas di scarico e sporcarsi di grasso. "La fatica è come un ferro", ripete. Qualcosa che lo schiaccia dentro. "Gli altri guaglioni giocano e io lavoro, ma sono già grande, porto a casa i soldi". Cinquantamila lire la settimana, se va bene. Una fortuna. Ci sono migliaia di ragazzini sfruttati in Italia, che guadagnano 100mila lire al mese. Rosa, 12 anni, non guadagna nulla. La sua storia è quella di una bambina che la mattina, anziché andare a scuola, va a fare la spesa per tutta la famiglia al supermercato. "Mamma è andata via - dice - sono io che devo pensare ai miei fratellini. A scuola non ci posso andare, un po' mi spiace, mi piacerebbe studiare tutte quelle cose, stare con i compagni. Ma il mio posto è qui". Il padre è ambulante, quando la moglie l'ha abbandonato ha temuto che i figli più piccoli dovessero essere affidati a un istituto. Rosa è la nuova mamma. Lui le dà 100mila lire la settimana per le spese, tocca a lei fare quadrare il bilancio familiare, tenere in ordine la casa, fare addormentare i piccoli. Si sente già grande. Ma quando recupererà la sua infanzia? Quando la recupereranno Mario e Giuseppe? Il primo lavora in una panetteria del Nord- Est, terra ricca, dove il lavoro abbonda e non si trova manodopera, al punto che c'è bisogno di reclutare i ragazzini. Loro non se lo fanno dire due volte. La scuola? Che barba. Mario fa il panettiere e non si sente sfruttato. La sua è una busta paga record: un milione e 700mila lire. "Ho lasciato la scuola perché mi annoiavo - dice spavaldo - quello che conta, nella vita, sono i soldi. Io ne ho quanti ne voglio". Uno che se la tira. Sono in tanti nel Nord-Est che ragionano in quel modo: i soldi vogliono dire la moto, la discoteca, i viaggi; lo studio è tempo perso. Giuseppe, invece, non ha una lira. Durante l'anno va a scuola, l'estate non riposa. Fa il commesso in un negozio di frutta a Bari: "Ho cominciato a lavorare qui che avevo otto anni, mi davano 8-10mila lire al giorno, adesso ho avuto un aumento e mi hanno promesso che tra qualche tempo me ne daranno 30mila". È tutto contento, ride. È già grande. La Puglia è una delle regioni dove lo sfruttamento dei minori è più diffuso. Sommerso vuol dire evasione contributiva, ma spesso anche malavita. I bambini sono strumenti, bestie da soma, schiavi. I Walter, le Rosa, i Mario, i Giuseppe sono bambini diventati adulti in una notte di lavoro, fanno una vita isolata, staccata da quella dei coetanei e con loro hanno rarissime occasioni di contatto. I maschietti che lavorano fanno i duri, fumano, bestemmiano e dicono parolacce come i grandi. Le ragazzine fanno finta di divertirsi, non hanno altra scelta. Le parole di un ragazzino intervistato nelle Marche potrebbero essere l'epigrafe del volume della Cgil sul lavoro minorile in Italia: "Io avevo un amichetto che lavorava. Era sempre triste. Mi ricordava Leopardi".
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