24/7/2006 ore: 11:23
"Governo" Farmacie, il grande affare duro a morire
Contenuti associati
Pagina 1 e 11 - IN ITALIA Farmacie, il grande affare duro a morire L’Italia ? al primo posto nel costo dei farmaci di base, a cominciare dall'aspirina che paghiamo il doppio dei Francesi e il quadruplo dei Tedeschi. Cos? il Movimento dei Farmacisti Liberi, cio? non titolari. L’Italia ? all'ultimo posto nella vendita di medicinali ?generici?, senza brevetto e per? con una efficacia equivalente. Perch?? Perch? costano, e quindi rendono, di meno. Per questo molti farmacisti non li consigliano: da noi il loro smercio (che farebbe risparmiare a tutti un sacco di milioni di euro) si ferma infatti all'irrisorio 4,2%. Siamo dietro Portogallo, Austria, Francia. Dietro la Germania dove tali vendite balzano al 32,3% e dietro il Regno Unito dove svettano al 50%. ULTIMI NEI PRODOTTI DA BANCO - Ma in Germania vige da secoli il libero esercizio delle farmacie. Siamo fra gli ultimi pure nella vendita di prodotti ?da banco?, quelli senza bisogno di ricetta medica, che altrove, quasi ovunque, si vendono anche fuori dalle farmacie (e non mi pare che muoiano in tanti da quelle parti). Da noi i farmaci da banco sono discretamente venduti a Trento (quasi 17%), a Bolzano, in Emilia-Romagna, in Toscana e in Lombardia. Poi si scende sempre pi?, andando verso Sud (dove la corporazione dei farmacisti ? fortissima), fino al misero 8% della Sicilia. Contro medie del 25% in Svizzera, del 23 nel Regno Unito, del 20 in Francia. Solita storia. Se questi farmaci da banco, cio? di base, verranno venduti anche nei supermercati, in appositi settori e alla presenza di farmacisti, succeder? il disastro sanitario che preannunciano i baroni delle farmacie? No, non lo sar? affatto. Ma, intanto, sulla nostra pelle (nonch? sulle nostre tasche) essi si battono per una dura difesa corporativa. Un altro esempio: dal 1995 per i farmaci di fascia C sono stati resi liberi sia i prezzi alla fabbrica, sia i margini alla distribuzione. Credete che si sia attivata una qualche concorrenza, un qualche ribasso? Secondo uno studio del CERM diretto dal prof. Fabio Pammolli docente di Management all'Universit? di Firenze, il margine di ricavo alla distribuzione ? rimasto fisso ad un marmoreo (e ben redditizio) 33,35%. Un bel prendere. In conseguenza di ci?, l'Italia conquista - secondo la Commissione Europea dell'Istituto di Alti Studi di Vienna - il primato nel ricavo medio della distribuzione farmaceutica: + 34% rispetto alla media UE e pi? del doppio rispetto al Regno Unito. Dove non esiste, al pari della Germania, il numero fisso farmacie per abitanti n? una pianta organica. Siamo cos? al 5? posto nel mondo, con una spesa pubblica che si potrebbe ridurre, come si ? visto, di molto: liberalizzando, con alcuni ?paletti?, l'apertura di farmacie; liberalizzando i margini di ricavo. Incidendo cio? su di un comparto che ormai muove ben 11 miliardi di euro l'anno. Perch? i proprietari di farmacie si oppongono anche alla vendita nei supermercati dei prodotti da banco che costituiscono, in fondo, un quota minima delle loro entrate? Evidentemente perch? temono di perdere altri privilegi. Privilegi, a danno degli utenti, che vengono da lontano, dall'Unit? d'Italia e che resistono nonostante la messa in mora della Ue (procedura di infrazione del 28 giugno scorso) e le critiche a fondo dell'Antitrust. Brevi cenni di storia patria. Prima del 1861, l'Italia delle farmacie era sostanzialmente divisa in due: negli Stati ?europei? come il Granducato di Toscana e il Ducato di Parma, vigeva il libero esercizio. Nel Lombardo Veneto le farmacie erano messe a concorso pubblico ed assegnate a vita al vincitore, non erano cio? n? ereditabili n? commerciabili. Vitalizia era l'assegnazione pure nel Regno delle Due Sicilie. Nel Regno di Sardegna, invece, le farmacie rappresentavano una concessione perpetua, quindi trasmissibile e vendibile. E questo fu il principio che pass? in tutta Italia. Tent? di modificarlo col libero esercizio Francesco Crispi nel 1888 con la legge n.5854. Ma come liberalizzare con tanti farmacisti che si erano comprati la ?piazza?? Fin? tutto in vertenze e litigi. Finch? i farmacisti titolari vinsero di nuovo con la legge Giolitti del 1913, la n. 468. Finirono battuti i liberalizzatori e i socialisti i quali reclamavano pi? farmacie, private e comunali (1 ogni 3mila abitanti, pi? di quante ce ne siano adesso!). A Claudio Treves, che si batteva per il disegno di legge Prampolini-Turati, Giovanni Giolitti rispose col solito cinico realismo: ?Se lei si illude che i farmacisti si metteranno d'accordo per sacrificare il proprio interesse per amore del prossimo, lei chiede un differimento non gi? alla prossima legislatura, ma a quella Valle di Giosafatte nella quale non so poi se ella creda…?. Nel 1934 i farmacisti proprietari spuntarono dal regime mussoliniano un autentico trionfo: la successione in caso di morte veniva allargata anche a figli e nipoti non farmacisti ?purch? avviati agli studi farmaceutici o almeno iscritti all'ultimo anno di scuola media di secondo grado?. Prov? a cambiare le cose il ministro della Sanit?, Camillo Giardina, nel 1959. Mal gliene incolse: violentemente attaccato dai farmacisti, fu il solo ex ministro dc non rieletto, in Sicilia, pur avendo quattro legislature alle spalle. Soltanto anni dopo alcune norme vennero migliorate dal centrosinistra, con la riforma Mariotti del 1968, ma questa sull'ereditariet? rimase, scolpita nel marmo. E se ne riparla in questi giorni: il decreto Bersani limitava ad un anno solo la possibile successione, ma gi? il termine ? stato allungato, in commissione, a due…Vedremo. Il ministro Mastella si ? assunto nel governo il ruolo di difensore delle dinastie degli speziali. Stia ben attento Prodi, stavolta. E anche Bersani. |