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giovedì 19 maggio 2005
Vecchi e nuovi signori della rendita Analisi comune: un Paese guidato dal guadagno sicuro che nasce da tariffe, bollette, mattoni, ordini professionali chiusi, posizioni di privilegio, liberalizzazioni mai fatte
di Oreste Pivetta
PROFITTI E SALARI - Nei giorni peggiori (per ora) dei conti economici italiani, Eugenio Scalfari elencava che cosa si sarebbe dovuto fare, prima, per alleviare queste pene e le altre future e magari per evitarle. E tra le diverse vie, tutte nel segno del mercato e della liberalizzazione, ne indicava una vecchissima, anti- ca: tagliare le rendite a favore dei profitti e dei salari... Come aveva consigliato due secoli fa David Ricardo, economista inglese, e come aveva provato, semplicemente eliminando i rentier, i redditieri, poco più tardi Carlo Marx. Il professor Giacomo Vaciago interpreta per noi: «I salari sono necessari per poter campare, i profitti sono indispensabili per garantire investimenti senza i quali l’economia non cresce, le rendite sono di quei disgraziati che per vivere meglio tengono bassi profitti e i salari...».
L’Italia è un paese ammalato di rendite, ammorbato dal mito della rendita, ogni italiano avrebbe la sua piccola aspirazione alla rendita: ritirarsi e vivere d’affitti o interessi bancari. Ciascuno di noi sognerebbe di farsi percettore di balzelli autostradali o di bollette energetiche, qualcuno s’acconterebbe di un casello o di una centralina. Oppure nascere figlio di un notaio o di un farmacista o di un tassista. «Succederà mai che un rumeno diventi tassista a Milano? Che una farmacia sia affidata a un magrebino?», chiede Vaciago. Anni fa tornò in voga a sinistra l’alleanza dei produttori, altrimenti l’unione delle forze del lavoro, capitalisti manifatturieri e operai. L’altro giorno un ministro di centro destra, Alemanno, ha rilanciato indicando come virtuosa e necessaria la tassazione dei patrimoni finanziari. Si tratterebbe semplicemente, spiega Nicola Rossi, economista di sinistra, di allinearci all’Europa e di salire un poco, comunque solo al livello più basso delle aliquote Irpef. Un professore d’università (a Pavia), Giorgio Lunghini segnala però un problema: fin qui bene, però oltre bisogna fare attenzione, perchè la rendita è diffusissima e rentier sono in tanta parte dei lavoratori, piccolissimi rentier, quindi quando si vuol colpire la rendita bisognerebbe essere in grado di colpire in modo diverso chi ha pochi bot e chi percepisce interessi di milioni e milioni. Già Alemanno si era preoccupato, buon populista, di escludere i titoli di stato. Comunque, per capire le dimensioni, si legga la relazione annuale della Banca d’Italia: «Nel 2003 il risparmio finanziario delle famiglie italiane è stato pari a 73 miliardi e al 5,6 per cento del pil, (87 miliardi e 6,9 per cento del prodotto interno lordo nel 2002), un valore inferiore alla media del periodo 1995-2001». «La riduzione - secondo Banca d’Italia - data la dinamica del risparmio complessivo salito a oltre 110 miliardi, è da ricondurre alla propensione delle famiglie ad acquistare attività reali, in particolare abitazioni». Con una conseguenza d’attualità, come ci fa notare Giacomo Vaciago: il pil cresceva solo in virtù dell’edilizia e quindi «la recessione è cominciata due anni fa e il valore aggiunto manifatturiero è in calo da almeno due anni...».
Ventiquattro ore dopo Alemanno, Fausto Bertinotti ha aggiunto alla rendita finanziaria quella immobiliare. Appunto. Modulando, però: cancellando l’ici, esentando la prima casa...
Uno studioso d’economia, Francesco Giavazzi, in una conferenza, se ne uscì con un provocatorio ritratto italiano: un Paese che crea molte rendite e dà un incentivo alle persone intelligenti non a fare le cose che servono alla crescita, cioè l'innovazione, ma ad occuparsi delle rendite. Paradosso: anche le intelligenze migliori, le capacità imprenditoriali, non solo gli investimenti, sacrificati sull’altare della rendita.
I Benetton, dopo aver fatto i soldi tenendo golfini grigi in magazzino, per colorarli a seconda delle richieste, si sono messi a riscuotere i pedaggi autostradali e i golfini sono diventati irrilevanti per il loro bilancio, che dipende dalla capacità di negoziare con il governo l'aumento dei pedaggi...
La Pirelli continua ad avere il suo Pirelli Lab. Ma il novanta per cento del bilancio dipende dalla tariffe della telefonia fissa e da quella mobile (dall'accordo di duopolio con Vodafone).
I guai della Fiat cominciarono probabilmente quando gli azionisti decisero che l’auto non era tutto per loro, non era il core businness, troppo difficile ormai competere, e decisero di tentare il balzo nell’energia, nel tranquillo mercato Enel-Edison. Se la Fiat non avesse avuto o un mercato domestico protetto o l'illusione di prendersi una parte della rendita dell'energia, probabilmente si sarebbe svegliata prima e l'innovazione avrebbe continuato a farla come hanno fatto Renault e Bmw.
Gli esempi di protezione e difesa delle rendite sono di tutti. Grandi e piccoli: le banche italiane contro l’arrivo degli stranieri, per citare un caso clamoroso e vicino. Poi ci toccherebbe la questione degli ordini. Chiusure medioevali nell’epoca della globalizzazione. E in effetti viviamo da questo punto di vista, di rendite finanziarie, immobiliari (vedi le fortune dei vari Ricucci, Statuto, Coppola), tariffarie, di posizione, ereditarie (del farmacista e del notaio), un precipizio in età precapitalista o, almeno, postbellica, come insegna la scalata dei mattoni, da tempi di ricostruzione .
Come reagire? Risponde Giacomo Vaciago: «Liberalizzando: l’energia, le poste, l’etere e quindi la televisione (anche contro Mediaset che ha lucrato sul monopolio), i notai, i tassisti, eccetera eccetera. Riaffidarsi al mercato. Il futuro di questo paese è soffocato dalle rendite. Tony Blair appena s’accorge di una posizione di monopolio smonta il monopolio. Tony Blair è di sinistra? Fate voi».
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