 |
 |
07.12.2003 Una piazza di madri, padri e tanti figli La forte presenza dei giovani ha caratterizzato la grande manifestazione sindacale Enrico Fierro
ROMA I piedi gonfi per il troppo camminare e quelli che veloci muovono trottanti «Geox». Gambe appesantite dalle vene varicose e gambe snelle. Giovani e anziani. Insieme per il futuro. Sì, nei cortei che marciano in direzione San Giovanni non ci sono solo super senior col cappellino rosso e le bandiere del loro sindacato di pensionati, ma anche giovani. Tanti. Ragazze e ragazze. Giovani che studiano, non moltissimi. Giovani che lavorano. Che sono invece in grandissimo numero, e tutti ti raccontano cos’è il mercato del lavoro degli anni Duemila. Quello democraticamente fondato sulla totale precarietà dell’oggi e sulla certissima assenza di futuro. Senza diritti, senza regole: il mercato figlio della macelleria sociale di questi anni. «Papà, papà. Finalmente!». Quadretto familiare alla fine di via Merulana. Lei si chiama Mariangela e sta col fidanzato ad aspettare che passino i genitori. L’attesa dura da un paio d’ore. Mamma e papà arrivano, bandiere d’ordinanza e macchina digitale per immortalare la loro giornata particolare. Mariangela: «Sono qui per migliorare il mio presente e per costruire il mio futuro. In tasca ho una laurea che mi è servita a poco per trovare lavoro. Anni di studi, tasse, libri. Soldi scuciti dai genitori». Mamma e papà si guardano e sembrano ricordare gli anni passati a risparmiare per far studiare la ragazza. Le vacanze saltate, a cinema raramente, una pizza ogni tanto, la spesa al discount. «Ora lavoro in una cooperativa sociale, mi occupo di assistenza ai minori. Il mio stipendio? Settecento euro al mese, ma la coop mi versa i contributi solo sulla metà della paga. Se vado avanti così in pensione non ci arriverò mai. Quando sto male la malattia la pagano solo a partire dall’ottavo giorno. Sì, da noi i diritti sono un optional e per il futuro sarà peggio, perché tra qualche settimana il mio contratto di Cococo verrà trasformato in rapporto libero-professionale. Belle parole, non credi? La realtà è che prenderò sempre 700 euro, ma dovrò pagarmi i contributi e le tasse». Mamma Adriana ascolta e scuote la testa: «Devo ritenermi fortunata, da un paio d’anni sono in pensione». Papà Salvatore, invece, deve aspettare ancora qualche anno. Ora è in mobilità. Hanno anche un’altra figlia, laureata e a pieni voti. Fa la precaria all’Alitalia, lavora a progetti, nel senso che la chiamano quando serve: qualche mese di lavoro e poi via, di nuovo a casa ad aspettare. «Ora capisci - dice papà Adriano - perché tutta la famiglia è qui: siamo stanchi di questa modernità, così la chiamano gli esperti e i politici di destra, senza diritti e senza certezze». Avanti, tutta la famiglia verso Piazza San Giovanni. «Non mi avrete mai». E’ impossibile non vedere la scritta sulla maglietta della ragazza che ci si para davanti, proiettata com’è dalla bellezza prorompente della proprietaria. Si chiama Annamaria e marcia nel corteo dei lavoratori di Zapponeta, antico borgo in provincia di Foggia nato quando il barone Zezza, gran feudatario della zona, convinse i cafoni a trasferirsi nella valle. Lei ha trent’anni e marcia sotto le bandiere della Flai (la federazione dei lavoratori dell’agroindustria). «La mia è una vita da precaria - racconta -, nel senso che sono una bracciante agricola reclutata di volta in volta dai caporali. Lavoro nelle pianure della Capitanata a raccogliere i pomodori, ma anche nel Metapontino quando è il periodo delle fragole. Non tutti i padroni ti mettono in regola, pochi ti versano tutti i contributi, spesso è il caporale a fissare il prezzo della tua giornata di lavoro, tu non contratti nulla, sei nelle sue mani. Perché sono qui? Perché il governo non fa niente per il Sud, perché dai nostri paesi la gente ha ricominciato ad andar via, perché la finanziaria fa schifo, perché Berlusconi sta togliendo il presente ai vecchi e il futuro ai giovani». Idee chiare. Slogan efficacissimo. Dal Sud al Nord. Mantova. Lui si chiama Antonio e di anni ne ha 25, lavora in una fabbrica metalmeccanica, la «Bandioli e Paveri», da quando di anni ne aveva 20. Salario 900 euro. «Non esiste la contrapposizione tra vecchi e giovani. Peggiorando la condizione degli anziani non si prepara un futuro migliore per chi oggi non ha ancora trent’anni. No, questa è solo la demagogia di un governo mediocre che ha fatto solo leggi a misura di Berlusconi e delle sue aziende». Il corteo va, tra musiche e colori. Ci sono i trampolieri che aprono la marcia dei vigili del fuoco, i palloni giganteschi con la scritta Cgil-Cisl e Uil, i mille striscioni e lui, Jean, che ha un cartello appeso al collo. «Non sono un Bingo Bongo. Lavoro, pago le tasse e verso i contributi all’Inps», c’è scritto a pennarello. Jean, che non vuole essere Bingo-Bongo, è nero come il carbone, ha 27 anni e viene dal Burkina Faso, lavora in una azienda metalmeccanica di Forlì e guadagna 800 euro al mese. «Quattocento - calcola - li pago per la casa, una stanza e un cucinino, ma sono contento. Perché sono qui? Perché anch’io sono cittadino italiano e da vecchio non voglio essere un povero». Jean ha perso il suo gruppo, sfila da solo, e in mano ha una bandiera della Fiom-Cgil, quella rossa con la ruota dentata. Manifestazione dai mille colori e dai mille suoni. C’è «Bella ciao» - cantata da tutti, ritmata, finanche rock - e Vinicio Capossella («Che cos’è l’amor»). Ma il top è Rino Gaetano: «Nun te regghe cchiù». Chi? «Ma il Berlusca», urlano quelli di Scanzano Jonico. Aprono uno dei cortei e tantissimi sono giovani. Per tutti parla Mario, che lavora nelle serre di fragole: «Siamo quelli dell’orgoglio lucano, quelli che hanno sconfitto Matteoli, il generale Jean e il governo. Quelli che hanno fatto ingoiare le scorie a Berlusconi». Sono le 11 ed è già impossibile entrare in piazza San Giovanni. Intanto le agenzie battono le gentili dichiarazioni del leghista Roberto Calderoli. La gente in piazza? «Truppe cammellate. Vadano a lavorare». Calderoli è vicepresidente del Senato. Ma qui le sparate dei bingo bongo del governo vengono accolte con ironia. Tanto che tra i giovani riscuote un successo enorme un settantenne vestito da «pazziariello» (cappello alla Napoleone, giacchetta in lamé con alamari e gran bastone rosso in mano), è il gran comandante del «Gruppo folk la Rustica». Hanno la banda con trombe, tamburi e tromboni e singolari musicisti che suonano percuotendo vecchi cessi e pitali issati su pertiche. Loro suonano e decine di ragazzi e ragazze ballano. L’Italia giovane è in piazza. L’Italia dal presente precario e dal futuro incerto. L’Italia senza diritti e con stipendi da 700-800-900 euro al mese. Un’Italia che la tv non inquadra. Non sta bene. Meglio le immagini di ragazzi abbronzati, sorridenti, felici e lmpanti. Quelli che...«saranno famosi».
|
|
 |
|