Trentenni, senza lavoro restano con mamma e papà
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Che Italia sarà quella che uscirà dalla crisi? Come si ricomporrà quel tessuto sociale e produttivo dissestato dalla recessione? Quale sarà il destino delle schiere di persone colpite in pieno da un crollo della ricchezza complessiva mai tanto intenso e tanto veloce? Giovani, donne e stranieri: questi gli anelli deboli. I soliti. L’ultimo rapporto Istat, scandaglia nei minimi particolari gli effetti che due anni di tsunami finanziario ed economico hanno avuto sulla società italiana, proponendo aggregati statistici inediti e in alcuni casi inquietanti. Come quei due milioni di giovani (uno su sei nella fascia tra i 15 e i29anni) che nel 2009 si ritrovavano fuori da tutto. Né scuola, né lavoro. L’analisi è impietosa e rigorosa. Mostra un’Italia «malata d’Europa » per via della bassa crescita ormai decennale. Nel biennio 2008-9 la flessione del Pil è stata più accentuata che in Germania e nel resto d’Europa. Tra il 2001 e il 2009l’Italia è il Paese che è cresciuto meno. I consumi sono diminuiti di due punti, mentre sono rimasti stabili negli altri grandi Paesi europei. In un anno il potere d’acquisto pro-capite è sceso sotto il livello del 2000.
ALTRO CHE MEGLIO DEGLI ALTRI Eppure l’Italia ha tenuto, ma solo grazie ai risparmi (certo deteriorati) delle famiglie. Nell’emorragia di lavoro, che conta 380mila unità in meno in un anno e 329mila inattivi (chi non cerca neanche il lavoro) in più, si è scelto di salvare i capifamiglia (alcuni) scaricando tutto il peso su giovani, donne e stranieri (che tuttavia reagiscono meglio). L’opzione di finanziare le cig ha comportato il rafforzamento delle tutele per i lavoratori stabili, di solito dei padri, a scapito dei precari, più frequentemente figli. La percentuale dei giovani tra i 18 e i 34 anni costretti a restare a casa per ragioni economiche è salita al 58,6%. Ma la tutela dei «padri» ha avuto un effetto positivo sul tasso di deprivazione, quell’indice che segnala i beni che ci si possono permettere, «Considerando i redditi dei componenti, infatti - si legge nel Rapporto - la perdita imputabile all’uscita dal mercato del lavoro di un figlio di 15-34 anni è pari (in media) al 28,3% del totale del reddito familiare, a fronte di un valore del 50,6% nel caso di un padre, e del 37,1% nel caso della madre». Insomma, è stato più colpito chi contribuiva meno al reddito delle famiglie. Dato drammatico, e sotto certi aspetti cinico: hanno pagato i più deboli per consentire ai più forti di tenere in piedi «la baracca». Ancora più drammatico il dato sui padri espulsi, maggiormente concentrate tra le famiglie che erano già meno agiate. DIVARI SOCIALI La crisi ha alzato il velo su un sistema duale, dai divari sociali ormai incolmabili, che esclude dai circuiti produttivi e dalle aule scolastiche. L’Italia è finita al primo posto in Ue per abbandoni scolastici. E tra gli ultimi come tasso di occupazione giovanile, sceso al 44% con una caduta tre volte superiore a quella media del Paese. Trecentomila giovani hanno perso il lavoro nel solo 2009: 25mila al mese, mille al giorno togliendo i festivi. Una cifra che copre quasi l’80% della perdita complessiva dei posti; tutta la crisi su di loro. Il calo ha aumentato quella fascia dannata che gli esperti chiamano «Neet», ossia «Not in education, employment or training» (né al lavoro, né a scuola) di 142mila unità. Aumentano anche gli studenti (+83mila), cui si aggiungono altri 47mila giovani, ex studenti-lavoratori, che prolungano gli studi presumibilmente per le ridotte prospettive occupazionali. Quanto alle donne, hanno subito meno il calo occupazionale (-105mila), ma solo perché la crisi si innesta su una situazione già difficile. Quasi la metà del calo è concentrato al Sud. Molto particolare, invece, la reazione degli stranieri alla crisi. Il loro tasso di occupazione è diminuito di oltre il doppio rispetto a quello degli italiani, così come quello di disoccupazione. Ma il crollo viene mitigato da un continuo aumento di posti, soprattutto nei settori non qualificati