10/11/2010 ore: 8:34

Tra Fiom e Cgil, due idee di sindacato generale

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Il giorno dopo. Si chiarisce –ma non diminuisce – la differenza di visione tra la Cgil e la Fiom. Dal Comitato centrale dei metalmeccanici era arrivato l’invito a fermare la trattativa al «tavolo per la produttività » con Confindustria, Cisl e Uil. La neosegretaria generale della confederazione, Susanna Camusso, ha risposto a stretto giro che «la Fiom sottovaluta una contingenza nella quale si sono aperte possibilità di discussione con il complesso del sistema delle imprese». E quindi andrà avanti. Sarà un caso, ma proprio ieri gli edili di Cgil, Cisl e Uil, hanno deciso di fare una manifestazione contro il governo, il 1 dicembre, insieme... ai costruttori. Maurizio Landini, segretario generale Fiom, aveva convocato la stampa per spiegare la decisa svolta operata il giorno prima e ha potuto precisare i contorni sia dell’analisi
che delle proposte. A chi vede la Fiom «isolata» oppone il successo della manifestazione del 16 ottobre, il «vasto dissenso sociale alle politiche del governo e della Confindustria». In effetti c’è chi pensa che il problema sia solo il governo, mentre «il sistema delle imprese» vuole un «ricorso senza vincoli ai contratti a termine e di somministrazione» e «un contratto nazionale più lungo e generale, derogabile a livello aziendale». Ossia salario, orario e inquadramento «legati all’andamento aziendale . In un paese in cui la quasi totalitàdelle aziende è sotto i 15 dipendenti (senza alcuna contrattazione aziendale) questo significa cercare di aumentare i ricavi moltiplicando i lavoratori poveri e senza diritti. Non sembra un caso che l’osannato Fini, nello «staccare la spina» a Berlusconi, abbia comunque messo tra gli obiettivi di un futuro governo «l’assunzione del patto sociale tra le parti» sul salario quasi tutto aziendale. Per la Fiom, al contrario, il contratto nazionale deve «difendere e incrementare il valore reale dei salari», mentre il «secondo livello deve avere carattere integrativo ».
La richiesta di fermare il «tavolo sulla produttività», quindi, viene ribadita per due ragioni: a) «è chiara la posizione di Confindustria, ma qual’è quella della Cgil?» («nessuno ha avuto modo di discuterla, e non solo in Fiom»), b) orari, salari e inquadramento sono «materia della contrattazione di categoria», sottratte da sempre alla disponibilità delle confederazioni. Di più. Nei documenti frutto del contestato «tavolo» c’è la richiesta – a questo governo! – di «incrementare e rendere strutturali tutte le scelte normative che incentivano la contrattazione di secondo livello, che collegano aumenti salariali variabili all’andamento delle imprese»; ed anche, per il Sud, che «nuovi investimenti produttivi dipendono da riforme di sostegno al lavoro, atrtraverso l’utilizzo di tutte le strumentazioni contrattuali nazionali e decentrate ». E’ l’applicazione della teoria – già dimostratasi fallimentare – per cui solo la deregulation totale del lavoro consente di «aumentare la produttività».Ma non risulta da nessuna parte che questa sia la linea decisa dalla Cgil. Le proposte per fare altrimenti non mancano. «La riunificazione del mondo del lavoro » pone infatti l’obiettivo del «contratto dell’industria», unico per tutte le categorie; obiettivo «intermedio», intanto, almeno «l’unificazione» delle diverse forme contrattuali vigenti in una sola per categoria. La «proposta di legge popolare» sulla rappresentanza, con la centralità del referendum «per evitare altri contratti separati». Il «reddito di cittadinanza» per «garantire il diritto allo studio» (altrimenti «si possono laureare solo i figli dei ricchi») e per «tutelare la disoccupazione non volontaria». Proposte che allargano il fronte degli interlocutori della Fiom (e della Cgil, se questa sarà anche la sua scelta) a «studenti, precari, lavoratori pubblici e privati, migranti, movimenti per i beni comuni e in difesa della Costituzione». Il 16 ottobre ha deciso che «intorno a una piattaforma sindacale» si può coagulare un’opposizione sociale. E sarebbe un delitto, definitiva, che «le ragioni quadro politico impongano l’accettazione di un massacro sociale».

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