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Tfr e Pensioni, i passi da fare

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Sabato 3 Febbraio 2001
testata-quotidiano
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TFR E FLESSIBILITÀ.
Pensioni, i passi da fare

L’asprezza delle polemiche, caratteristica dei periodi preelettorali, non giova alla comprensione e alla soluzione dei problemi, specie in una materia così delicata come quella previdenziale. È bene rifiutare il gioco delle accuse e contraccuse e cercare invece di impostare la questione in modo neutrale e oggettivo, mettendone in luce i diversi punti nodali. Tale procedimento passa attraverso la definizione degli obbiettivi, l’individuazione dei vincoli, nonché dei costi e dei benefici associati alle diverse possibili scelte.

Gli obiettivi. L’obiettivo principale al quale debbono essere indirizzati sia l’ulteriore riforma del sistema previdenziale, sia il dirottamento del Tfr è la creazione di un sistema misto, a due componenti. La prima, pubblica, deve essere basata sul principio della solidarietà intergenerazionale, e quindi finanziata con il meccanismo della ripartizione; deve risultare inoltre finanziariamente solida e non distorsiva delle scelte, in particolare dell’offerta di lavoro e dell’organizzazione produttiva delle imprese. La seconda, privata, deve essere basata sul principio dell’accumulazione individuale di risorse a fini di risparmio previdenziale; deve quindi risultare efficiente sia nelle modalità organizzative (per limitare i costi amministrativi), sia nelle scelte di impiego delle riserve accumulate (per massimizzare il rendimento delle stesse).

Tale obiettivo, sempre enunciato a ogni successivo stadio del processo di riforma, è ancora lontano dalla realizzazione, così che la parte pubblica anziché riequilibrarsi va incontro ad aggravi di deficit, mentre quella privata continua a deludere in termini di "mancato decollo". L’aggravarsi dello squilibrio pubblico è attribuibile alla lentezza nell’attuazione della riforma, a fronte del rapido invecchiamento della popolazione; il mancato decollo è invece dovuto alla carenza di risorse con cui finanziare la capitalizzazione.

I vincoli. La transizione verso il sistema misto è onerosa, ossia richiede la destinazione di risorse a questo specifico scopo e ciò è tanto più gravoso quanto più il sistema pubblico è squilibrato. Richiede, in altre parole, un aumento del risparmio — e quindi lo spostamento di risorse dalle generazioni correnti a quelle future — oppure la destinazione a fini previdenziali di risparmi che si sarebbero ugualmente formati ma avrebbero avuto altri impieghi.

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Tfr e pensioni, i passi da fare

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Qui entra in gioco il Tfr. Fin dall’inizio, il Tfr è stato individuato — correttamente — come la risorsa a disposizione per il finanziamento della previdenza complementare; è stato però anche individuato — erroneamente — come una risorsa "libera", il cui dirottamento verso un impiego più redditizio non poteva che essere gradito ai lavoratori. La comprensibile resistenza delle imprese, che sarebbero state private di una forma di finanziamento a basso costo, si sarebbe potuta superare con un moderato incentivo fiscale. Per i lavoratori ci sarebbe stata la prospettiva di una pensione integrativa, per le imprese la possibilità di accedere a mercati finanziari divenuti più efficienti, e quindi meno costosi, grazie all’afflusso di queste ingenti masse di risparmio a lungo termine. Chi mai avrebbe potuto essere tanto "oscurantista" da preferire la soluzione antiquata del Tfr a quella dei fondi pensione, più moderna, più remunerativa e più consona alla new economy, soprattutto visto che lo Stato ci metteva di suo un pizzico di incentivazione fiscale?

L’illusione delle risorse gratuite. L’errore di questo disegno è consistito nell’immaginare che i soldi della tasca destra (e cioè il Tfr) fossero privi di una loro precisa funzione e che pertanto fosse sufficiente spostarli nella tasca sinistra (fondi pensione) per far sentire i lavoratori più ricchi e più contenti. In realtà il Tfr assolve compiti importanti anche per le scelte patrimoniali dei lavoratori e il suo smobilizzo è costoso non soltanto per le imprese: i (modesti) benefici fiscali non sono infatti apparsi sufficienti al lavoratore medio a compensare la perdita dei vantaggi che, pure con tutti i suoi limiti, il Tfr concretamente offre, ossia un’assicurazione contro la disoccupazione e una riserva di liquidità in particolari momenti di bisogno. Questo spiega la forte riluttanza mostrata dai lavoratori, i quali da diversi anni ne hanno la possibilità, nel cambiare destinazione alla loro liquidazione.

Le cose da fare. È comprensibile che il Presidente Amato, che ha iniziato nel 1992 il processo di riforma del sistema previdenziale e di diversificazione dei suoi pilastri, volesse terminare il suo mandato almeno con un parziale successo nel determinare le condizioni per lo smobilizzo del Tfr a favore della previdenza integrativa senza toccare il pilastro pubblico. È però difficile pensare che un esperto di previdenza, come il professor Amato, ritenga davvero che si possa costruire un buon pilastro privato lasciando inalterato, nelle sue attuali distorsioni e dimensioni, il pilastro pubblico.

La conclusione è inevitabile: perché la previdenza integrativa possa veramente decollare, l’aliquota contributiva per il pilastro pubblico deve essere ridotta dall’attuale, elevatissimo livello del 33% (per i lavoratori dipendenti). Lo smobilizzo del Tfr si può incentivare davvero solo dirottando contemporaneamente verso i fondi pensione anche una parte, sia pure piccola, di quel 33% e questo costituisce una ragione in più per completare la riforma del pilastro pubblico estendendo il sistema contributivo e rivedendo le pensioni di anzianità. È questa, pur nella sua difficoltà, la strada maestra da percorrere; le scorciatoie sono sempre rischiose.

---firma---Elsa Fornero

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