Teleperformance la vera storia di un call center virtuoso e in crisi
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Un altro call center che annuncia esuberi, altri 847 lavoratori che rischiano di perdere il posto. La trama sembra sempre la stessa ma c’è una differenza. Il paradosso è che Teleperformance, colosso francese del telemarketing che il 1° aprile ha avviato la mobilità per 173 operatori telefonici della sede di Roma e 674 in quella di Taranto, dove ne lavorano 2000, sconta il fatto di aver assunto tutti i dipendenti a tempo indeterminato dal 2007. Un passo che ha fatto schizzare il costo del lavoro del 30% in più rispetto a quando, come tutti gli altri call center, stipulava solo contratti a progetto. Maquel passo è stato fatto perché di lì a poco tutte le aziende di telemarketing avrebbero dovuto farlo. Il 14 giugno del 2006, infatti, una circolare dell’allora Ministro del Lavoro Cesare Damiano stabiliva che le attività di inbound, in cui il dipendente risponde alle telefonate, come l’assistenza clienti Time Vodafone, non potessero essere regolate da contratti a progetto perché prive dei requisiti fondamentali di tali collaborazioni, ovvero assenza di «vincolo di orario e di presenza». A quel punto i call center potevano solo ricorrere a contratti di lavoro subordinato, garantendo i diritti connessi, per le attività di in bound. Teleperformance si adeguò alle nuove norme, assumendo tutti, compresi gli out bound, cioè i dipendenti che svolgono attività di telemarketing effettuando le chiamate, a tempo indeterminato.
SENZA LIETO FINE
Peccato che dopo la caduta del governo Prodi, il nuovo titolare del Ministero del Lavoro, Sacconi, abbia diramato un’altra circolare, il 3dicembre del 2008, in cui si precisava che «i collaboratori che svolgono attività di promozione, vendita, sondaggi e campagne pubblicitarie possono - anzi devono - essere considerati lavoratori autonomi» e quindi collaboratori a progetto. Praticamente un tuffo indietro nel passato, alla faccia della lotta al precariato. Teleperformance si è ritrovata ad operare in un mercato senza regole in cui, «offrendo servizi a 23 euro l’ora per lavoratore, non può essere concorrenziale con altri call center che, grazie ai co.co.pro., offrono gli stessi servizi a 15 euro l'ora» precisa l'amministratore delegato Lucio Apollonj Ghetti. I sindacati rifiutano la mobilità che, non potendo Teleperformance usufruire della cassa integrazione ordinaria come azienda di servizi, porterà necessariamente alla perdita dei posti di lavoro e denunciano il fatto che «la società - ricorda Andrea Lumino della Slc Cgil - ha usufruito dei contributi statali per l'assunzione di disoccupati al Sud». La legge 407 del ‘90, infatti, prevede che chi assume disoccupati di lungo corso non paghi i contributi, coperti dalla Stato per tre anni. E i tre anni, per i dipendenti Teleperformance per i quali l’azienda ha usufruito di questi fondi, scadono proprio tra giugno e dicembre di quest'anno. Un’altra azienda che incassa fondi pubblici e quando finiscono fa baracca a burattini e se ne va? «Non vogliamo
soldi dallo Stato - si difende l’amministratore delegato - ma vorremmo sapere dal governo se in Italia è possibile fare utili rispettando la legge. Abbiamo chiesto più volte che il settore dei call center venisse regolamentato ma il ministro non ha mai voluto riceverci. Chiediamo solo che le regole siano uguali per tutti». La palla, adesso, passa al governo perché oggi sono 847 a rischiare il lavoro,mafra qualche mese potrebbero essere molti di più visto che teleperformance ha già perso la commessa per il servizio clienti Vodafone m ase continuerà non essere competitiva sul mercato, potrà perdere anche altri clienti