Tanti «garantiti» in piazza ma arrivano i giovani
Bonanni: ho visto i figli insieme ai padri. E a Bologna chiude per sciopero l’unico McDonald’s
ROMA - I vecchi sindacalisti spiegano che un lavoratore sciopera non solo quando è convinto dei motivi per farlo, ma anche quando non ha paura di ritorsioni da parte dell’azienda. Ma allora come mai, accanto ai pensionati, si sono visti in piazza anche giovani lavoratori precari con contratti atipici, quelli insomma senza posto fisso? «Perché quando in un’azienda si capisce che sciopereranno in tanti, diciamo oltre la metà, alla fine scioperano tutti o quasi», spiega un sindacalista consumato come Raffele Bonanni, segretario confederale della Cisl. «Ed è quello che evidentemente è successo ai giovani dei call center di Blu e delle altre aziende di telecomunicazioni che hanno aperto nel Sud e che ieri ho visto numerosissimi a Palermo accanto agli operai e ai dipendenti pubblici». Bonanni conosce la piazza siciliana da una vita, «ma una cosa come ieri non mi era mai capitata: parlare davanti a oltre 100 mila persone senza che volasse una mosca. Ad ascoltarmi c’era una nuova generazione di lavoratori». Altro che «padri contro figli (come aveva detto Berlusconi). Ho visto tanti figli vicino ai padri». E probabilmente lo stesso effetto imitazione che è scattato in qualche call center e la sempre valida sensazione che l’unione fa la forza hanno determinato anche l’unica chiusura di un fast food Mc Donald’s in tutta Italia. «È successo a Casalecchio di Reno, vicino a Bologna, ma è stato il solo caso», spiega Edy Sommariva, segretario generale della Fipe-Confcommercio, lamentando soprattutto gli effetti indiretti dello sciopero: bar e ristoranti senza clienti in stazioni e aeroporti. Anche alla Fiat, che ieri ha fatto felici i sindacati, ammettendo percentuali di adesione vicine al 50% (anche se ovviamente Cgil, Cisl e Uil parlano del 90%), dicono che «forse sì, ci sono più giovani che in passato tra chi sciopera e chi manifesta», ma ne danno una spiegazione tecnica: rispetto a 5-10 anni fa, per non parlare di 20 anni fa quando ci fu l’ultimo fermo generale di otto ore, «nelle fabbriche c’è stato un processo di svecchiamento della manodopera», grazie ai prepensionamenti e ai contratti flessibili. Sarebbe, insomma, come stupirsi del fatto che in piazza sono scesi anche lavoratori extracomunitari che un tempo erano una rarità mentre oggi, in alcune realtà, mandano avanti interi stabilimenti. In fabbrica, quindi, la forte presenza dei giovani non è una novità, ma molti di loro si sono visti in piazza ieri per la prima volta perché negli ultimi anni non ci sono stati scioperi di così forte richiamo. Bisogna risalire al ’94, allo scontro sulle pensioni (quando alla Fiat si toccarono percentuali di adesioni analoghe), ma allora, inevitabilmente, il tema era sentito di più dagli anziani. Aris Accornero, che vede la situazione con la lente del sociologo amico del sindacato, parla di un «effetto ringiovanimento che fa bene alle organizzazioni dei lavoratori». È un «ringiovanimento culturale e non solo anagrafico», che si vede anche nel modo in cui si sta in piazza: «la serenità, l’interesse, la vivacità osservate nelle manifestazioni». Un’ulteriore prova, aggiunge, che «il tentativo del presidente Berlusconi di mettere i padri contro i figli si è rivelato infelice perché basato su un messaggio che non è plausibile». «Con noi - dice Carlo Ghezzi, segretario organizzativo della Cgil - si sono mobilitate anche persone che non rappresentiamo, studenti, professionisti. A Firenze c’è chi ha innalzato cartelli che dicevano "Sono un commerciante, Partita Iva numero...". E ho visto che molti lavoratori hanno portato con sé la moglie e i figli». Ma è pur vero che il grosso delle truppe resta quello degli insider , i lavoratori garantiti dall’articolo 18 dello Statuto, che hanno disertato il lavoro e sono andati in corteo proprio per difendere il loro diritto al reintegro nel caso di licenziamento senza giusta causa. Le novità rappresentate dalla partecipazione giovanile e dal maggior interesse dimostrato nelle piazze non intaccano i dati strutturali. Le roccheforti del sindacato restano la grande industria e il pubblico impiego. E le roccheforti sono circondate da un apparato produttivo frammentato di lavoro autonomo e piccole aziende, dove lo sciopero generale non arriva o non interessa. Spiega Riccardo Garosci, segretario generale della Faid (grande distribuzione) aderente alla Confcommercio, che gli ipermercati, i grandi magazzini sono rimasti «tutti aperti con poche eccezioni, perché i nostri dipendenti sentono che, lavorando ad esempio in un supermercato, svolgono una funzione sociale», ma poi ammette che tra i motivi c’è anche che «il settore non è molto sindacalizzato». Conferma il direttore della Confartigianato, Francesco Giacomin: «Il massimo delle adesioni allo sciopero c’è stato in Emilia Romagna con il 15% perché è la regione più sindacalizzata. Per il resto oggi i nostri dipendenti sono così ricercati, che si scelgono loro il datore di lavoro e gli dettano pure il salario. Altro che licenziamenti!».
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Enrico Marro
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