Supermercati, il pressing degli stranieri
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SUPPLEMENTO AFFARI & FINANZA di lunedi 1 novembre 2004 FINANZA pag. 36 Supermercati, il pressing degli stranieri Gdo vuol dire, per i consumatori, soprattutto supermercati e ipermercati e quindi convenienza e risparmio. Come è possibile che a crollare, in un momento di crisi economica così forte, sia proprio il settore che ha fatto della razionalizzazione e del risparmio l’arma letale? La verità è che la competizione nel commercio è passata dalla guerra "intercanale" (tra grande distribuzione e piccolo commercio) a quella "intracanale" (all’interno della stessa Gdo). Vinta la battaglia con i piccoli commercianti, i grandi e medi gruppi iniziano a farsi la guerra tra loro, con promozioni, sconti, offerte sottocosto, pubblicità. E i consumatori, capito il gioco, si sono fatti più attenti e efficienti: «Siamo in presenza — spiega un manager di una delle più grandi catene italiane — di un cambiamento strutturale nei comportamenti d’acquisto». Il dato delle vendite al dettaglio di agosto indica quanto la situazione sia preoccupante: il calo del 3,4%, per il food, e dello 0,6% per gli altri settori va ben oltre la "sindrome della quarta settimana". Il mercato non è fermo, scende. Salgono invece, per le dinamiche normali di inflazione e di spesa, i costi fissi della catena distributiva. Certo, c’è ancora molto fieno nella cascina della grande distribuzione, ma non molti saranno in grado di passare indenni attraverso un altro anno come questo. Sicuramente qualcosa si muoverà, e in fretta, perché saranno prevedibili non solo tagli e ristrutturazioni della rete (NordiConad, ad esempio, ha venduto i suoi dieci cash & carry al gruppo Sogegross), ma anche fusioni e vendite di società in blocco. In questo scenario si inquadrano i due punti caldi del mercato italiano: Rinascente e Esselunga. La prima è praticamente in vendita; ma tutto sommato è la questione Esselunga la più pericolosa per i competitor italiani del settore. Nonostante le smentite sottovoce, il gruppo milanese di proprietà della famiglia Caprotti ha avviato contatti con gli americani di Wal Mart, un colosso della grande distribuzione mondiale (quotato a Wall Street) che con i suoi 130 miliardi di euro di fatturato rappresenta da solo tutto il giro d’affari della grande distribuzione italiana nei settori alimentari, pulizia casa e persona, e prodotti freschi. Esselunga è la più grande azienda privata italiana nel settore, ha un marchio molto forte nel Nord Italia e, soprattutto, con i suoi tre miliardi e mezzo di euro di fatturato annuo rappresenta un punto critico del mercato. Non a caso Coop Italia, appena le voci della trattativa con Wal Mart sono diventate consistenti, ha fatto sapere di essere disponibile a valutare la possibilità di un’offerta. In un mercato così difficile, bloccare l’arrivo di un gruppo come quello fondato da Sam Walton, diventa vitale. Fino a un anno fa anche l’ipotesi di una trattativa per la cessione di Esselunga era ritenuta fantascientifica ma, oggi, lo scenario è drasticamente mutato. Bernardo Caprotti, 79 anni, è tornato alla guida delle società, assorbendo oltre al suo ruolo di presidente quello di amministratore delegato ricoperto dal figlio Giuseppe. E il patriarca ha ora in mano sia le redini del gruppo, sia l’incondizionata decisione sulla possibilità di vendita. L’ipotesi di una cessione, entro i prossimi dodici mesi, non è così lontana, anche perché i risultati gestionali non sono più brillanti. Il mercato italiano rischia così di sbilanciarsi in maniera molto forte sull’estero: nel nostro paese sono già presenti grandi gruppi francesi come Auchan, Carrefour e Le Clerc (alleati di Conad nella gestione degli ipermercati ex Planeta), i tedeschi Rewe (che acquisirono Standa alimentare) e Lidl, leader del settore hard discount, l’unico che, adesso, in Italia presenta ancora un segno di crescita positiva. E’ logico che l’avanzata straniera preoccupi, e molto, gli operatori di casa nostra i quali, d’altro canto, non hanno la forza (né politica, né di volumi) per tentare operazioni analoghe oltre confine. Se poi si dà un’occhiata al mondo del non food, si scopre che lì, già da tempo, l’Italia è fuori gioco: da Ikea a Castorama, passando da Trony (ceduta agli inglesi) e finendo agli outlet, è praticamente tutta terra di conquista straniera. Questa scenario crea una preoccupazione ulteriore: se la grande distribuzione, food e non, passa di mano i rischi per le imprese produttrici italiane (dalle alimentari a tutte le altre) è di trovarsi a competere, soprattutto in termini di prezzo, con fortissimi fornitori di scala mondiale, già abituati alla politica dei vari WalMart, Auchan, Castorama. Con la concreta possibilità di essere tagliati fuori dal giro e con il rischio, per milioni di consumatori, di dover subire scelte strategiche (non solo di diffusione, ma anche di qualità del prodotto) decise oltre confine. E non sembra, davvero, esistere la possibilità di un bilanciamento, con acquisizione italiane all’estero: gli unici due gruppi (Coop e Conad) con volumi relativamente grandi non possono né vogliono allargarsi in Europa per la loro stessa struttura societaria. Adesso, comunque, alla Gdo italiana, preme molto di più uscire dalla crisi, sopravvivere a un altro probabile annus horribilis, recuperando margini su volumi in picchiata. Le prossime sfide si chiameranno efficienza ed efficacia, agendo sulla catena distributiva o su proposte innovative, a partire dalle linee di prodotti con marchio proprio, le "private label". Sperando poi, se la crisi passerà, che non siano gli altri, gli stranieri, a cogliere i frutti di questa grande svolta. |