Sull’Italia l’ombra del declassamento
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5 Marzo 2004
Sull’Italia l’ombra del declassamento Si rischia un contraccolpo sugli interessi del debito pubblico
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ROMA Che siano concretissimi, i rischi di un declassamento del rating del debito pubblico italiano, non è davvero un segreto. E si sa anche che è stato il governo, su input del ministro dell’Economia Giulio Tremonti, a voler dare agli esperti che seguono le vicende italiane un segnale (minimo, ma tangibile) della volontà dell’Esecutivo di fare sul serio sulle pensioni. Il rischio è che - come già minacciato non più tardi di due giorni fa dall’agenzia Usa Standard e Poor’s - sia rivista al ribasso la valutazione sulla solidità delle emissioni di titoli pubblici del nostro paese. Se ciò avvenisse, sarebbe immediata una grave conseguenza: per attrarre gli investitori e compensare la loro minore fiducia, il Tesoro sarebbe costretto a offrire rendimenti più elevati. E un aumento della spesa per interessi, considerando il massiccio debito italiano, avrebbe pesanti ripercussioni sui conti pubblici. Tra addetti ai lavori, politici e personalità delle istituzioni, a dire il vero, se tutti «vedono» concreto questo pericolo non tutti sono d’accordo sulla sua immediatezza. Alcuni, infatti, sospettano che l’allarme lanciato da Tremonti abbia soprattutto un’esigenza «tattica»: mettere la sordina alle divisioni nella maggioranza (stavolta sulle pensioni) in nome della suprema e non rinviabile emergenza dei conti pubblici. A tutti, nei palazzi della politica, è però risuonato chiaro e forte il messaggio lanciato dal ministro dell’Economia. Due sono le ragioni addotte da Tremonti. La prima riguarda il rischio immediato di «downgrading» (ovvero, declassamento) dei titoli emessi dall’Italia. Proprio martedì scorso - il giorno dopo la diffusione dei negativi dati Istat su crescita e conti pubblici - un rapporto di Standard and Poor’s aveva avvertito: «la mancanza di un'efficace risoluzione degli squilibri di bilancio attraverso durature misure strutturali potrebbe portare a un abbassamento della valutazione nel 2004». Sotto accusa, una «debole posizione di bilancio e la mancanza di chiarezza sulla strategia di riforma strutturale» da parte del governo italiano. Sullo sfondo, un debito pubblico altissimo che «sta calando più lentamente rispetto agli altri paesi con un alto livello di debito». È noto che nei mesi scorsi il ministro Tremonti aveva centrato sulla riforma delle pensioni la sua strategia di rassicurazione dei mercati. Ma da novembre a oggi, nonostante le promesse, si è visto che la riforma è più che mai invischiata in Parlamento. Ed è altresì noto che tra gli esperti si giudica la riforma previdenziale troppo blanda, troppo rinviata nel tempo (solo dal 2008). E ora si comincia anche a dubitare delle reali possibilità che divenga legge. L’altro timore è quello che nella imminente due giorni europea a Bruxelles per fare il punto sulle riforme strutturali (lunedì si riunisce l’Eurogruppo, martedì l’Ecofin) l’Italia si presenti a mani vuote sul fronte delle pensioni. E finisca (anche per questo) nel mirino dei partners europei. Basterà, il «segnale»?
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