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 Se il sindacato Guido Palmieri
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Non una ma tante Italie. Anche quella del mercato del lavoro non sembra sfuggire a un’immagine consolidata del Paese. Perchè succede che in provincia di Taranto una grande azienda come l’Alitalia non riesca a selezionare 80 diplomati in materie tecniche. Eppure i disoccupati sono oltre il 22% e la proposta d’impiego non sia per un’occupazione di bassa manovalanza. A mille chilometri di distanza, una piccola azienda del Mantovano è costretta invece a premiare chi è già in organico, e non i neoassunti, sperando che un incentivo alla fedeltà serva a frenare il continuo passaggio di personale da una fabbrica all’altra. E lo stesso si verifica a Treviso dove l’anno scorso un lavoratore su cinque ha cambiato posto. Anche questi non sono fenomeni indolori perchè spesso contribuiscono alla rincorsa salariale non sempre collegata a incrementi di produttività. Sono soltanto alcuni esempi di un mercato paradossale, squilibrato che a volte appare quasi schizofrenico. Può sembrare assurdo: ma è tutto tranne che dinamico. E non lo è proprio perchè è bloccato, incapace di fare i conti con le trasformazioni in corso che impongono velocità d’idee e di esecuzione. E, invece, il sindacato — o larga parte di questo - sembra far finta di non accorgersi e preferisce l’immobilismo, mentre mai come oggi serve un ventaglio di strumenti per aiutare i disoccupati a trovare un posto e le aziende a non arretrare ulteriormente nella competitività. Le aperture alle flessibilità, per esempio? Molte restano un tabù, basti pensare alle differenziazioni salariali, altre sono solo timidi passi in avanti, poco convincenti e quindi poco utili. Ma l’aspetto forse più paradossale è che il sindacato, e in questo caso la Cgil, pare non dare credito, e tradurre in comportamenti coerenti, a fotografie sul mercato che cambia realizzate dalla stessa organizzazione per capire il proprio ruolo e la rappresentanza. È di ieri un’indagine sui lavoratori della net economy che snobbano il sindacato e non si sentono attratti dal posto fisso preferendo rischi e vantaggi della libera professione. Oggi, invece, sempre la Cgil studia l’impatto nelle tecnologie sull’organizzazione aziendale e scopre che il modello standard d’impiego, basato su percorsi di carriera certi, tempo pieno, salari fissi, è sulla via del tramonto. E sono le nuove tecnologie a richiedere contratti più personalizzati e disponibilità d’impiego meno rigide. Una condizione di lavoro che le nuove generazioni percepiscono più vicina alle proprie aspirazioni. Parlano i numeri, ma il sindacato li ignora, spesso arroccato a difendere un vecchio schema con regole consolidate, fatto di sicurezze ma anche di chiusure al nuovo. Il risultato è che senza una svolta il mercato del lavoro rischia di rimanere bloccato lasciando fuori dalla porta chi tenta di affacciarsi. Ed è questo che ripete — l’ultima volta è stata proprio ieri - la Commissione Ue con raccomandazioni rimaste sempre sulla carta. Quelli di Bruxelles sull’occupazione sono giudizi severi e si concludono con quattro sollecitazioni: intensificare gli sforzi per differenziazioni salariali che tengano maggior conto della produttività e delle condizioni locali del mercato, più flessibilità, taglio alla tassazione del lavoro, politiche attive per le fasce deboli (donne e disoccupati di lunga durata). Continuare a non ascoltare significa danneggiare i più giovani e compromettere l’intero sistema Paese. Giovedì 26 Aprile 2001
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