18/1/2005 ore: 11:49
Rinascente e Upim, la grande distribuzione arranca
Contenuti associati
SUPPLEMENTO AFFARI & FINANZA di lunedi 17 Gennaio 2005 Oggi, la maggioranza dei consorzi che hanno fatto un’offerta preliminare per i marchi Rinascente e Upim è costituita principalmente da gruppi stranieri mentre l’imprenditoria nazionale sembra relegata al ruolo di supporter per le attività immobiliari. Basti ricordare la cordata composta da due società a capitale arabo cioè Dubai Investments e Villa Moda assieme ad Aedes. Sono anche in pista Beni Stabili con il fondo chiuso Bc Partners senza dimenticare il consorzio composto dal fondo di private equity Cvc e da Morgan Stanley Real Estate. Infine c’è il fondo Pai che per ora gioca da solo. Certo, fra le cordate in lizza è rimasto un gruppo a prevalenza italiana. Si tratta dell’alleanza siglata da Pirelli Re con il fondo di private equity Investitori Associati guidato da Dario Cossutta e Antonio Tazartes e con l’imprenditore Maurizio Borletti, erede della famiglia che fondò la Rinascente. Unica presenza esterna al Bel Paese: Deutsche Bank. Una cordata che ha messo in piedi una task force di 60 specialisti per mettere a punto non solo un’offerta finanziaria ma anche un progetto di business capace di camminare sulle proprie gambe. In realtà il vero problema del venditore Eurofind è trovare un acquirente che abbia voglia di rischiare su un business che da anni in Italia non riscuote un grande successo. Pochi se lo ricordano ma lo stesso Silvio Berlusconi dopo aver acquistato la Standa da Raul Gardini fu costretto a gettare la spugna cercando un compratore che gli togliesse le castagne dal fuoco. Oggi a distanza di anni il marchio Standa è ridotto al lumicino mentre l’azienda è stata smembrata fra i tedeschi di Rewe e la Oviesse (gruppo Coin). Quanto alla stessa Coin, anche se per motivi diversi, non se la passa molto bene. Uno dei primi problemi che dovrà risolvere il vincitore della gara bandita da Eurofind è quello di costruire due nuovi modelli di business capaci di macinare profitti ed assicurare la crescita: il primo dedicato alla Rinascente, il secondo alla Upim. Come ricorda Luca Pellegrini, esperto di grande distribuzione, docente di marketing alla Iulm, in Italia i grandi magazzini capaci di avvicinare il lusso alla borghesia emergente arrivarono con decenni di ritardo sui paesi di prima industrializzazione come Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti. Già nel 1869, ad esempio, Emile Zola definiva il Bon Marché di Parigi come «Una cattedrale del commercio» scrivendo poi un racconto inspirato alla storia dei Boucicaut, i fondatori dello stesso Bon Marché. Il ritardo con cui nacquero nel primo dopoguerra i magazzini Bocconi ribattezzati La Rinascente da Gabriele D’Annunzio ha probabilmente influito sullo scarso sviluppo della formula in Italia. Un modello, va sottolineato, che non ha niente a che spartire con quella dei magazzini popolari come era la Upim fino a pochi anni fa. Ad ogni modo lo spazio di crescita de La Rinascente si è ridotto progressivamente dagli anni ‘70 in poi. L’ingresso nel mercato di nuovi gruppi commerciali di tipo specialistico ha imposto alla catena di abbandonare comparti come quelli del mobile, degli elettrodomestici, dell’hifi. Da anni, quindi, Rinascente è sostanzialmente concentrata nella moda, negli accessori, nella cosmetica e nei casalinghi di alto livello. «Oggi in Italia i grandi magazzini rappresentano una nicchia con scarse prospettive di crescita», osserva Pellegrini, «anche se si tratta di una nicchia ricca che potrebbe diventare ancora redditizia». Insomma, il marchio Rinascente rimane forte e alcuni negozi, soprattutto quello di Piazza Duomo a Milano, mantengono un alto livello sia di fatturato sia di profitto. Ma gestire una futura espansione varando ad esempio nuovi centri commerciali sul modello dei mall americani sembra arduo. Anche perché i grandi magazzini subiscono la concorrenza di griffe come Zara o H&L che propongono prezzi aggressivi per capi che fanno moda. Tutt’altra musica per i magazzini popolari che ormai in Italia non esistono più. Il vecchio modello rappresentato dalla Upim di alcuni anni fa, incentrato da una parte su un’offerta di capi di abbigliamento e di casalinghi a buon mercato e dall’altra su piccoli supermercati annessi al magazzino, è scomparso da tempo. Si tratta infatti di una formula ormai superata che non attrae i consumatori. La stessa Upim, ha cambiato pelle puntando su abbigliamento, cosmetica e accessori. Una ristrutturazione che però non sembra sufficiente a rilanciare la catena. Certo, il marchio rimane molto forte, conosciuto com’è da milioni di consumatori. Ma Upim, ben più della Rinascente, subisce la concorrenza delle catene specializzate da Benetton a Zara, Mango o H&M. |