Riforme La scommessa dell’arbitrato
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Primo test per la conciliazione sulle controversie di lavoro; la precedente versione non ha funzionato. Calderone (consulenti): tutto dipenderà dalla velocità dell’iter
È una riforma (quasi) silenziosa, ma «rischia» di diventare la più incisiva varata dal governo fino a oggi. La legge 183/2010, il cosiddetto collegato lavoro, che introduce arbitrato, conciliazione e certificazione dei contratti è entrata in vigore lunedì scorso ed è attesa alla prova dei fatti. L’obiettivo primario è lo stesso che anima anche l’introduzione della mediazione civile: smaltire gli arretrati e velocizzare la macchina della giustizia. Innanzitutto è bene precisare quali sono i casi in cui si può ricorrere all'arbitrato: tutti quelli in cui nascono controversie fra le parti in un rapporto di lavoro, non necessariamente subordinato e comunque nei casi previsti dall'articolo 409 del Codice di procedura civile (quindi non solo rapporti di lavoro subordinato, ma anche co. co. co. e lavoro a progetto). La procedura per ricorrere all'arbitrato prevede che sia possibile fare un’istanza alle commissioni di certificazione dei contratti di lavoro istituite presso gli Ordini Provinciali dei consulenti del lavoro. Nell'istanza va precisato il motivo per cui si ricorre al tentativo di conciliazione. Se la controparte accetta di aderire alla procedura ha 20 giorni di tempo per produrre un eventuale memoria difensiva. La commissione terminata l'istruttoria convoca le parti per la discussione della controversia e la ricerca del punto di transazione. Che cosa cambia La priorità rimane la velocizzazione, ecco perché è importante definire i tempi per la soluzione di un arbitrato e in caso di insuccesso che cosa succede? «I tempi sono molto rapidi — spiega Marina Calderone, presidente dell’Ordine dei consulenti del lavoro — perché tutta la procedura ha una durata massima di 60 giorni. In caso di mancato accordo la commissione ha l'obbligo di formulare una proposta di accordo. Delle risultanze della proposta formulata dalla commissione e non accettata senza adeguata motivazione il giudice tiene conto in sede di giudizio» . Il tentativo di conciliazione non è più condizione di procedibilità dell’azione giudiziaria. Quindi il lavoratore può adire al Giudice «saltando» la fase conciliativa. La diffusione dello strumento dipenderà, pertanto, dall’elevato grado di autorevolezza raggiunto dalle Commissioni e dalla celerità, rispetto alla via giudiziaria, del procedimento. Ed è per questo che le commissioni composte da esperti consulenti del lavoro si candidano per raggiungere questi obiettivi. Smaltire e velocizzare Ma quanti sono i casi stimati che potrebbe risolvere l'arbitrato? «Difficile fare una stima — ammette Calderone — considerato che siamo alla vigilia di un vero cambiamento culturale. Occorrerà far comprendere alle parti che è meglio prevenire il contenzioso avendo cura di affidarsi alle commissioni di certificazione prima che possa verificarsi una lite, mediante lo strumento della certificazione dei contratti di lavoro o di singole clausole dello stesso. Certo è che se prendiamo ad esempio i dati delle conciliazioni obbligatorie, finora in vigore, andate a buon fine sarà difficile fare peggio. La percentuale media non supera il 20%e siamo in presenza di diverse centinaia di migliaia di insorgenti controversie» . Non bisogna dimenticare che il sistema giudiziario deve fronteggiare oltre 400 mila nuove controversie in materia di lavoro ogni anno e smaltire un arretrato di un milione e 200 mila cause che provocano una durata media di ogni processo superiore a quattro anni. Adesso lo strumento è alla prova dei fatti tenendo presente che nel biennio scorso in Italia ci sono stati 172 mila tentativi di conciliazione. «Ma il meccanismo era completamente diverso — osserva la presidente dei consulenti del lavoro —. Forse con l'arbitrato ci sarà una maggiore determinazione nella ricerca di una soluzione per entrambe le parti. Finora invece la conciliazione era vista come un fastidioso passaggio obbligato prima dell’aula» .