Regioni in marcia sugli Albi

5 novembre 2002
LIBERE PROFESSIONI
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1- Regioni in marcia sugli Albi
2- Un terreno minato senza princìpi chiari
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Regioni in marcia sugli Albi
 Federalismo e Ordini - Dopo la legge della Calabria le Autonomie scelgono di rendere stabile il dialogo con le categorie attraverso le Consulte Maria Carla De Cesari
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ROMA - Regioni prudenti nell'esercizio della potestà legislativa concorrente in materia di professioni. In attesa della legge di riforma, che fissi i princìpi generali degli ordinamenti, le Autonomie si limitano per lo più a inserire gli Ordini nella "mailing list" del dialogo istituzionale. Fanno eccezione gli amministratori di condominio (si veda il box). Lo strumento che molte Regioni stanno scegliendo è quello delle "consulte", organismi che potevano essere istituiti ben prima della riforma federale della Costituzione. Anche se le consulte accoglieranno, in alcuni casi, rappresentanti delle professioni emergenti, che richiedono - a livello nazionale - un riconoscimento giuridico. La strada inaugurata dalla Calabria. La legge regionale 27/2001 ha istituito la Consulta per la valorizzazione degli Ordini, dei Collegi e delle Associazioni professionali. Tuttavia, la giunta della Calabria non ha ancora approvato il regolamento che dovrà "decidere" quali Associazioni ammettere. Nella legge il riferimento è a quelle «rappresentate» nel Cnel (le associazioni sindacali?) dove peraltro c'è la Consulta aperta alle formazioni che offrono una certa garanzia di qualità per i propri iscritti. Le Associazioni delle professioni emergenti rivendicano la presenza negli organismi consultivi regionali, ma sono consapevoli che lo statuto giuridico non può passare attraverso il filtro delle Regioni. «Occorre un riconoscimento pieno - spiega Riccardo Alemanno, componente del coordinamento delle Associazioni (Colap) - poiché dobbiamo poter certificare il livello di qualità dei nostri iscritti, senza barriere regionali. E questo potere può arrivare solo con il riconoscimento su base nazionale». Le perplessità sul federalismo. Del rischio-frammentazione ha parlato più volte il sottosegretario alla Giustizia, Michele Vietti, secondo il quale è necessario definire presto i cardini delle professioni. Il timore è condiviso dai Consigli nazionali e dalle Casse previdenziali: queste ultime temono modifiche agli ordinamenti che possano incidere sulla platea di riferimento, tagliando i bilanci. Regioni in pista. Secondo Graziano Pini, consigliere regionale dell'Emilia Romagna, «è da rifiutare l'idea di una supplenza del legislatore regionale che porterebbe all'individuazione di un ordinamento differenziato, inadeguato ad affrontare le sfide dell'internazionalizzazione. Quindi, anziché rivendicare autonomia normativa regionale, auspichiamo armonizzazione quantomeno comunitaria». Tuttavia, Pini individua quali temi di esercitazione delle Regioni «la natura organizzativa e su forme di concertazione a livello locale». Da questa considerazione muove un progetto di legge che istituisce la Consulta in Emilia Romagna. Componenti: gli Ordini e i Collegi, i rappresentanti dei loro comitati territoriali, le associazioni professionali (previo assenso di almeno 2/3 dei componenti di diritto). Inoltre, «sono ammesse a partecipare ai lavori della Consulta, su loro istanza, le Associazioni non regolamentate ma individuate dal IV rapporto di monitoraggio del Cnel». Tra le proposte di legge per una Consulta degli Ordini ci sono anche quelle del Piemonte e del Friuli Venezia Giulia. In Lombardia il progetto è invece allargato alle Associazioni professionali.
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Un terreno minato senza princìpi chiari |
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di Marcello Clarich
Disciplina delle professioni e Regioni, ovvero un territorio inesplorato, insidioso, aperto dalla recente riforma costituzionale. Prima della legge costituzionale 3/2001, che ha introdotto elementi di federalismo nei rapporti tra Stato, Regioni ed enti locali, la materia delle professioni era riservata alla disciplina statale. Il nuovo articolo 117 della Costituzione, invece, include le professioni tra le materie attribuite alla competenza legislativa concorrente dello Stato e delle Regioni. Lo Stato si deve cioè limitare a fissare i principi generali, alle Regioni spetta invece la disciplina di dettaglio. In astratto il modello sembra chiaro. In concreto, quali sono gli spazi effettivi per l'intervento delle Regioni? Il Consiglio di Stato ha cercato di far chiarezza in un parere su una bozza di regolamento ministeriale in materia di professioni sanitarie (parere dell'Adunanza generale dell'11 aprile 2002). Ha spiegato cioè che lo Stato può porre solo « tratti della disciplina che richiedono, per gli interessi indivisibili da realizzare, un assetto unitario". Tra di essi rientrano soprattutto l'individuazione delle varie professioni protette, i loro contenuti, i titoli richiesti per l'accesso alla professione. Alle Regioni spetta il compito di dar vita «a discipline diversificate che si innestino nel tronco dell'assetto unitario». L'impressione è però che, per attenerci all'immagine del tronco d'albero, che le Regioni possano inserire solo pochi "rametti" e "foglioline". Di certo, potranno promuovere la formazione professionale e istituire osservatori o consulte. Per quanto riguarda altri profili organizzativi, è dubbio che possano modificare la composizione e il funzionamento di Ordini e Collegi, anche se, almeno in linea teorica, non è detto che sia richiesta per forza un'assoluta omogeneità territoriale. Potrebbe essere anzi utile sperimentare in qualche Regione soluzioni nuove. Tuttavia, per l'esercizio dell'attività professionale, che sempre più ha il carattere di impresa di servizi, non si può derogare al principio della parità concorrenziale a livello nazionale. E il rischio più grave è infatti che le Regioni introducano "lacci e lacciuoli" ulteriori rispetto a regimi già oggi fin troppo vincolistici e ispirati a logiche anticompetitive.
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