13/6/2003 ore: 11:21

Referendum sull'articolo 18: le posizioni in campo

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venerdì 13 Giugno 2003


IL REFERENDUM SULL’ARTICOLO 18: LE POSIZIONI IN CAMPO
SI
Rifondazione Comunista; Comunisti italiani; Verdi; Cgil; la sinistra DS; Antonio Di Pietro; Sulta; Arci; Cobas; Rdb.Cub.
NO
Lista Bonino; Margherita; alcuni esponenti dei Democratici di sinistra; Roberto Maroni (Lega Nord); Forza Italia e il governo.
ASTENSIONE
«Comitato per il No, per le riforme, per il lavoro» presieduto da Renato Brunetta e Giuliano Cazzola; DS (tranne la corrente di minoranza); Sdi; Udeur; Cisl; Uil; Ugl;Cisal; Cida; CUQ; Confedir; Confail; Confsal; Sin.Pa; Confindustria; Confapi; Abi; Confcommercio; Confartigianato; Compagnia delle Opere; Confesercenti; Lega Coop; Confcooperative; Confagricoltura; Coldiretti; Cia-Confederazione italiana Agricoltura.
intervista
IL SEGRETARIO DI RIFONDAZIONE
Bertinotti: un argine
per affermare diritti


ROMA
S
EGRETARIO Fausto Bertinotti, perché votare sì al referendum sull’estensione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori?
«Dentro un mutamento radicale del lavoro, dell’impresa, dei rapporti di lavoro che hanno determinato e stanno determinando una precarizzazione diffusa e sistematica nel nostro paese, occorre ricostruire un argine attraverso la riaffermazione del diritto dei diritti: quello di non perdere il posto di lavoro senza che il licenziamento abbia un giustificato motivo. La seconda ragione per cui si deve votare sì è politica».
Si spieghi meglio.
«Questo governo sta attuando una politica economica e sociale che invece di prendere atto che quanto fin qui realizzato ha contribuito a determinare una crisi economica, ne esaspera tutti gli aspetti. Il governo di centrodestra così ha varato un decreto legge che moltiplica la precarietà fino a far sì che l’Italia diventi il paese a più alto tasso di precarietà in Europa nel lavoro. Aggiungo che il governo ha pronto il disegno di legge 848 bis che mette in discussione l’articolo 18 anche laddove è applicato. Se vince il sì, per cinque anni non si può legiferare contro l’indicazione del referendum. Ma se invece perdessimo, la maggioranza ha i numeri per varare questa legge».
I sostenitori del no ritengono che se passasse il referendum la precarizzazione del lavoro si moltiplicherebbe. Lei che cosa risponde?
«Che c’è la prova al contrario. Fin qui non c’è stata l’estensione dell’articolo 18 e si è moltiplicata la precarietà e il lavoro nero. E’ un argomento falsificato in radice».
Segretario Bertinotti, lei ritiene a portata di mano il quorum per dichiarare valido il referendum di domenica e lunedì prossimi?
«Il raggiungimento del quorum è un obiettivo difficilissimo perché è in atto una sistematica campagna di oscuramento del referendum e di boicottaggio da parte dei fautori del no, a partire dal governo Berlusconi, sicuri di perdere in campo aperto in un confronto di idee. Contando su uno zoccolo di partenza di una non partecipazione al voto del 35 per cento dell’elettorato, questa operazione combinata - oscuramento-boicottaggio - è molto pericolosa e potrebbe riuscire a impedire che la grande crescita della società civile non riesca a perseguire il suo obiettivo. Se ci fosse un ripensamento all’ultimo momento dei Democratici di sinistra, che scelgano un sì tecnico almeno, e della Margherita, che metta l’accento magari, pur mantenendo il no, perché la gente vada a votare, l’obiettivo di raggiungere il quorum sarebbe ancora raggiungibile e a portata di mano».
(r.r.)
intervista
LA LEADER RADICALE
Bonino: votiamo,
ma contro la rigidità
ROMA
CERTO, bisogna andare a votare. E votare no». La campagna dei radicali per il referendum sull’estensione dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori è doppia: contro l’astensionismo, che finirebbe per «bruciare» lo strumento della consultazione popolare, e contro il quesito.
La Lista Bonino è in prima linea pure in questa occasione, anche se, spiega l’europarlamentare, «io in prima persona mi occupo d’altro». Le donne yemenite e la liberazione della leader dell’opposizione birmana, l’Islam e - anche - la recente candidatura a rappresentare l’organizzazione delle Nazioni Unite nell’Iraq post-bellico: «Comunque domenica prossima io a votare ci vado, ci vado e voterò no».
Con quali motivazioni, onorevole Bonino?
«L’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori ha già determinato, nelle imprese per le quali si applica, una estrema rigidità del mercato del lavoro, che è una delle cause principali della disoccupazione in Italia, e in particolar modo tra i giovani. E questo lo dimostrano i dati. Estenderlo, come vorrebbe Fausto Bertinotti, avrebbe degli effetti pratici: un bar, un negozio, una bottega a conduzione familiare che ha bisogno di un lavoratore in più finirebbe per rinunciare a un’assunzione che assumerebbe la connotazione di un matrimonio senza possibilità di divorzio».
Ma così non si difende solo una libertà, quella dell’impresa di licenziare?
«Questo è un referendum che viene venduto come se ampliasse i diritti, in realtà dà meno libertà e rende ancora più difficili le opportunità di lavoro. Perché è strana la concezione che i promotori paiono avere dei “diritti”, assai simile a “gabbia” o “costrizione”. Ragioniamo: se io perdo il posto di lavoro, una nuova occupazione mi verrà garantita in tempi ragionevoli solo da un mercato libero, vivo, competitivo e legale. E, semmai, ho bisogno di poter contare su alcuni ammortizzatori sociali certi, uno strumento che, oggi, esiste soltanto per i lavoratori delle grandi imprese».
Perché andare a votare no? Non basterebbe astenersi come raccomandano molte organizzazioni e partiti?
«Noi radicali abbiamo anche contestato il regolamento della commissione di Vigilanza sulla Rai sul referendum, producendo un dossier sulla pervicace volontà dei partiti italiani di sottrarre ai cittadini il diritto a essere informati sui referendum. Un tema come l’articolo 18, che è stato l’ossatura del dibattito politico, diventa proibito quando viene consegnato alla decisione diretta dei cittadini. Non votare è come partecipare al sequestro del diritto all’elettorato attivo».
(r.r.)
intervista
IL VICE DI CONFINDUSTRIA
Averna: quesito fuori
da ogni logica
ROMA
PERCHÉ astenersi? «Siamo di fronte a un quesito complesso, a una problematica che sarebbe assurdo risolvere a colpi di sì o no essendo in gioco implicazioni sociali ed economiche che non si possono racchiudere in una posizione netta»: Francesco Averna, vicepresidente Confindustria responsabile per il Mezzogiorno, motiva così l’invito a non votare per il referendum sull’estensione alle imprese con meno di quindici dipendenti dell’articolo 18 con le regole sui licenziamenti.
Per lei il quesito è assurdo, ma perché criticare i cittadini che vogliono votare?
«E’ una posizione rispettabile anche quella di chi promuove l’astensione attiva. La Confindustria non invita ad andare al mare. Dice: dobbiamo risolvere i problemi con il dialogo sociale, non con strumenti rozzi».
L’astensione pertanto è un modo per dire no?
«Certo. E per dire che problemi del genere vanno trattati dalle parti sociali e definiti con un accordo da tradurre in norme».
Ci sarebbero davvero margini per trattare?
«Negli ultimi anni sono stati sottoscritti numerosi accordi, da quello sul tempo determinato al Patto per l’Italia, e decine di contratti di lavoro. Solamente in alcuni casi un solo sindacato si è ritirato per assumere una posizione di rifiuto».
Alcune tesi sull’articolo 18 sono inconciliabili...
«La scelta di astenersi è largamente maggioritaria tra le forze politiche e sindacali e unanime tra le forze imprenditoriali. L’impatto economico del successo del sì sarebbe devastante».
Con le astensioni previste non ci sono più problemi?
«Spero proprio non ci siano problemi. Gli italiani si rendono conto di cosa significherebbe estendere l’articolo 18 ai piccoli negozi e alle botteghe artigiane: andremmo fuori della storia e da qualunque logica economica».
Non è paradossale che la Confindustria si trovi a contrastare il referendum per l’articolo 18 avendo chiesto la sua limitazione?
«Il concetto di giusta causa per i licenziamenti non è mai stato contestato dalla Confindustria. E’ acquisito dalla civiltà giuridica e a livello internazionale. Il problema è la modalità di applicazione. In quasi tutti i paesi europei non è previsto il reintegro forzoso del lavoratore licenziato senza giusta causa, ma l’equo indennizzo. Chi ha promosso la battaglia per l’inviolabilità dell’articolo 18 confonde il diritto alla giusta causa con le modalità dei licenziamenti».
Il problema resta aperto?
«Nel Patto per l’Italia è prevista una sperimentazione: niente reintegro nelle imprese che assumendo superano i quindici dipendenti. La sperimentazione, quando sarà realizzata, dimostrerà che l’articolo 18 è negativo per l’occupazione».
Previsioni?
«Gli italiani sono responsabili».
Roberto Ippolito
intervista
NEROZZI, SEGRETARIO CONFEDERALE: OTTIMISTI
Cgil: un esito positivo
per aiutare i ragazzi
ROMA
PERCHE’ sì? «Una risposta positiva darebbe più forza alla nostra posizione tesa all’estensione dei diritti a tutti i lavoratori privi, soprattutto i ragazzi e le ragazze precari»: Paolo Nerozzi, segretario confederale della Cgil, spiega così l’importanza di un voto favorevole all’estensione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori con le regole per i licenziamenti nelle imprese con meno di quindici dipendenti ipotizzata con il referendum di domenica e lunedì.
Ma parlare di diritti in generale non significa ricorrere a argomenti estranei al referendum?
«Il referendum dà una risposta. Per la Cgil servono risposte generali, cioè nuove leggi da approvare. La riforma del mercato del lavoro varata dal Parlamento non solo aumenta la precarizzazione, ma con la decontribuzione mina le basi solidaristiche del patto sociale. Il sì rafforza la nostra battaglia contro la riforma».
Il sì è quindi l’antipasto di una battaglia più ampia?
«Il sì continua le battaglie precedenti e annuncia quelle future. E rappresenta una richiesta alle forze di opposizione, contrarie alla riforma del mercato del lavoro, di tener ferma la loro posizione».
Entrando nel merito del referendum per lei è davvero fondamentale dire sì?
«Sicuramente. Un risultato negativo indebolirebbe non solo i diritti delle persone a cui il referendum fa riferimento, ma anche la battaglia più generale».
Crede ancora che il referendum sia opportuno?
«Lo strumento del referendum può essere riformato. Però è importante in un sistema bipolare. Consente ai cittadini di esprimere la propria opinione mentre c’è una maggioranza stabile. La difesa dello strumento referendario è importante per la democrazia».
C’è differenza fra difendere lo strumento e dire che l’uso è sempre utile, no?
«Sì. Però chi non è d’accordo nel merito ha la possibilità di votare no. Si difende lo strumento anche votando no. Ricordiamoci poi che è fermo al Senato il disegno di legge con le limitazioni dell’articolo 18. Un risultato positivo nel referendum aiuta a fermarlo per sempre».
Non è rammaricato per le diverse valutazioni fra i sindacati e nel centrosinistra?
«Fra i sindacati esistono diverse valutazioni. Ma per le pensioni le posizioni coincidono. C’è un processo unitario da ricostruire che però parte anche dalla convinzione delle posizioni diverse. Al di là del referendum, tutto il centrosinistra è impegnato per i diritti».
Previsioni?
«No. E non solo per scaramanzia. Vedo Renato Brunetta, animatore del comitato del no, preoccupato: mi fa piacere. Io ho fiducia in un riscontro positivo».
(r.ipp.)
intervista
IL SENATORE DELLA MARGHERITA
Treu: contrari, ma forse
andremo alle urne
ROMA
TIZIANO Treu, senatore della Margherita ed ex ministro per il Lavoro, è uno dei principali avversari del referendum per l’estensione dell’articolo 18. Voterà no. Ma essendo convinto che i sì avrebbero la meglio se dovesse scattare il quorum, allora aspetterà prima di ritirare una scheda ed entrare nel seggio: «Aspetterò fino a lunedì mattina e se alle 11,30 la percentuale dei votanti è vicina al quorum, me ne torno a casa. Sarebbe autolesionista contribuire al successo di questo referendum».
E’ questa la posizione del suo partito?
«La posizione della Margherita è “No al referendum, no nel referendum”».
Sembra un gioco di parole, un po’ ambiguo, non le sembra?
«Niente affatto. Significa una cosa ben precisa: si può andare a votare e allora la scelta è chiaramente per il “No”, ma ci si può pure astenersi se questo porta a neutralizzare un quesito pericoloso e negativo per le piccole imprese e gli artigiani».
Dal punto di vista politico, perché è contrario all’estensione dell’articolo 18?
«Ci sono ragioni politiche ed economiche che si intrecciano. Cominciamo da quelle politiche: questo referendum è motivo di divisione tra i partiti del centrosinistra e tra gli stessi lavoratori autonomi e dipendenti. E questa è l’ultima cosa che dobbiamo fare, proprio ora che l’unità dell’opposizione ha pagato alle ultime amministrative. Rianimare le divisioni è un bel regalo a Silvio Berlusconi. Se poi vogliamo rafforzare il centrosinistra, dobbiamo convincere i milioni di piccoli imprenditori e artigiani a votarci. Ma per fare questo bisogna capire le loro ragioni. Se invece li graviamo dell’articolo 18 questo rapporto va in crisi. Capisco che a Bertinotti non interessa nulla, ma a noi della Margherita interessa molto».
E come si tutelano i lavoratori delle aziende con meno di 15 dipendenti?
«Noi come Ulivo abbiamo presentato una legge, già depositata, che prevede gli ammortizzatori sociali anche per le piccole imprese in crisi. Le quali, senza la cassa integrazione, sono costrette a licenziare. Questa mi sembra una soluzione, se invece le graviamo del reintegro forzato ex articolo 18, in un momento poi di crisi economica, la reazione potrebbe essere negativa: ci sarebbe la corsa al lavoro nero o al precariato».
Ma non è quello già accade, soprattutto al Sud?
«Intanto è stato fatto molto lavoro per far emergere il sommerso. Mi rendo conto che non è bastato, ma non è certo con nuove rigidità che si risolve questo problema. Una vittoria del “Sì”, alla quale non credo, avrebbe il solo effetto di spaventare quelle aziende che si basano sul rapporto personale tra datore di lavoro e lavoratore».
(a.l.m.)
intervista
IL MINISTRO DI FORZA ITALIA
La Loggia: il miglior
ristoro recarsi al mare
ROMA
ENRICO La Loggia ha deciso di non andare a votare per una ragione che spiega così: a suo giudizio il referendum è «totalmente anacronistico». Una scelta di astensione, quella del ministro per gli Affari regionali, che si presenta in linea con le indicazioni fornite dal suo partito, Forza Italia.
L’obiettivo che si propone chi critica questa consultazione è non fare scattare il quorum. Ma non sarebbe stato più coerente andare a votare no?
«Guardi, la mia posizione è identica a quella espressa dal segretario della Cisl Pezzotta, il quale sostiene che questo referendum deve essere respinto in toto perchè sbagliato nel merito e nel metodo. Ci sono modi diversi per dire no, e uno di questi è non andare a votare. Con il caldo che fa in questi giorni, il migliore ristoro è recarsi a mare, in campagna o in montagna».
Teme che possa scattare il quorum e alla fine prevalgano i sì?
«Intanto sono convinto che il quorum non scatterà, e poi non credo che una persona di buon senso possa andare al seggio e votare per il sì. Non si crea nuova occupazione abolendo una norma dello Statuto dei lavoratori e ingessando il mercato del lavoro, proprio mentre tutti i Paesi europei cercano di darsi regole di flessibilità. E’ quello che sta facendo il nostro governo con il decreto Biagi: si creano così nuove opportunità di lavoro e gli stimoli ad assumere i giovani. E poi una vittoria del sì avrebbe un effetto devastante nel Mezzogiorno, sarebbe un incentivo al lavoro nero, sarebbe una mazzata per i piccoli imprenditori».
La sua posizione coincide con una parte dell’Ulivo, ma perché sulle riforme del mercato del lavoro invece non riuscite a dialogare?
«Nel centrosinistra c’è una gamma infinita di posizioni. La stessa vicenda del referendum ne è la dimostrazione più lampante. Di fatto all’interno della sinistra si sta giocando una partita politica lacerante che non ha nulla a che fare con il merito del quesito referendario. Bertinotti ha usato il referendum contro Cofferati e ha spaccato i Ds. Adesso però non si capisce qual è la vera posizione della Quercia: prima erano per l’astensione, ora mescolano le carte con il solo obiettivo di recuperare il rapporto con Rifondazione comunista».
Lei è d’accordo sulla necessità di aumentare il numero delle firme per indire un referendum?
«Sì, perchè ormai l’inflazione di referendum ha svilito il principale istituto di democrazia diretta: andrebbe usato con parsimonia, per grandi argomenti di valore morale e civile. Ecco, l’unico modo per selezionare qualitativamente questo tipo di consultazione, è aumentare il numero delle firme, portandole da 500mila a un milione».
Amedeo La Mattina