IL SENATORE DELLA MARGHERITA Treu: contrari, ma forse andremo alle urne
ROMA TIZIANO Treu, senatore della Margherita ed ex ministro per il Lavoro, è uno dei principali avversari del referendum per l’estensione dell’articolo 18. Voterà no. Ma essendo convinto che i sì avrebbero la meglio se dovesse scattare il quorum, allora aspetterà prima di ritirare una scheda ed entrare nel seggio: «Aspetterò fino a lunedì mattina e se alle 11,30 la percentuale dei votanti è vicina al quorum, me ne torno a casa. Sarebbe autolesionista contribuire al successo di questo referendum». E’ questa la posizione del suo partito? «La posizione della Margherita è “No al referendum, no nel referendum”». Sembra un gioco di parole, un po’ ambiguo, non le sembra? «Niente affatto. Significa una cosa ben precisa: si può andare a votare e allora la scelta è chiaramente per il “No”, ma ci si può pure astenersi se questo porta a neutralizzare un quesito pericoloso e negativo per le piccole imprese e gli artigiani». Dal punto di vista politico, perché è contrario all’estensione dell’articolo 18? «Ci sono ragioni politiche ed economiche che si intrecciano. Cominciamo da quelle politiche: questo referendum è motivo di divisione tra i partiti del centrosinistra e tra gli stessi lavoratori autonomi e dipendenti. E questa è l’ultima cosa che dobbiamo fare, proprio ora che l’unità dell’opposizione ha pagato alle ultime amministrative. Rianimare le divisioni è un bel regalo a Silvio Berlusconi. Se poi vogliamo rafforzare il centrosinistra, dobbiamo convincere i milioni di piccoli imprenditori e artigiani a votarci. Ma per fare questo bisogna capire le loro ragioni. Se invece li graviamo dell’articolo 18 questo rapporto va in crisi. Capisco che a Bertinotti non interessa nulla, ma a noi della Margherita interessa molto». E come si tutelano i lavoratori delle aziende con meno di 15 dipendenti? «Noi come Ulivo abbiamo presentato una legge, già depositata, che prevede gli ammortizzatori sociali anche per le piccole imprese in crisi. Le quali, senza la cassa integrazione, sono costrette a licenziare. Questa mi sembra una soluzione, se invece le graviamo del reintegro forzato ex articolo 18, in un momento poi di crisi economica, la reazione potrebbe essere negativa: ci sarebbe la corsa al lavoro nero o al precariato». Ma non è quello già accade, soprattutto al Sud? «Intanto è stato fatto molto lavoro per far emergere il sommerso. Mi rendo conto che non è bastato, ma non è certo con nuove rigidità che si risolve questo problema. Una vittoria del “Sì”, alla quale non credo, avrebbe il solo effetto di spaventare quelle aziende che si basano sul rapporto personale tra datore di lavoro e lavoratore».(a.l.m.)
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intervista
IL MINISTRO DI FORZA ITALIA La Loggia: il miglior ristoro recarsi al mare
ROMA ENRICO La Loggia ha deciso di non andare a votare per una ragione che spiega così: a suo giudizio il referendum è «totalmente anacronistico». Una scelta di astensione, quella del ministro per gli Affari regionali, che si presenta in linea con le indicazioni fornite dal suo partito, Forza Italia. L’obiettivo che si propone chi critica questa consultazione è non fare scattare il quorum. Ma non sarebbe stato più coerente andare a votare no? «Guardi, la mia posizione è identica a quella espressa dal segretario della Cisl Pezzotta, il quale sostiene che questo referendum deve essere respinto in toto perchè sbagliato nel merito e nel metodo. Ci sono modi diversi per dire no, e uno di questi è non andare a votare. Con il caldo che fa in questi giorni, il migliore ristoro è recarsi a mare, in campagna o in montagna». Teme che possa scattare il quorum e alla fine prevalgano i sì? «Intanto sono convinto che il quorum non scatterà, e poi non credo che una persona di buon senso possa andare al seggio e votare per il sì. Non si crea nuova occupazione abolendo una norma dello Statuto dei lavoratori e ingessando il mercato del lavoro, proprio mentre tutti i Paesi europei cercano di darsi regole di flessibilità. E’ quello che sta facendo il nostro governo con il decreto Biagi: si creano così nuove opportunità di lavoro e gli stimoli ad assumere i giovani. E poi una vittoria del sì avrebbe un effetto devastante nel Mezzogiorno, sarebbe un incentivo al lavoro nero, sarebbe una mazzata per i piccoli imprenditori». La sua posizione coincide con una parte dell’Ulivo, ma perché sulle riforme del mercato del lavoro invece non riuscite a dialogare? «Nel centrosinistra c’è una gamma infinita di posizioni. La stessa vicenda del referendum ne è la dimostrazione più lampante. Di fatto all’interno della sinistra si sta giocando una partita politica lacerante che non ha nulla a che fare con il merito del quesito referendario. Bertinotti ha usato il referendum contro Cofferati e ha spaccato i Ds. Adesso però non si capisce qual è la vera posizione della Quercia: prima erano per l’astensione, ora mescolano le carte con il solo obiettivo di recuperare il rapporto con Rifondazione comunista». Lei è d’accordo sulla necessità di aumentare il numero delle firme per indire un referendum? «Sì, perchè ormai l’inflazione di referendum ha svilito il principale istituto di democrazia diretta: andrebbe usato con parsimonia, per grandi argomenti di valore morale e civile. Ecco, l’unico modo per selezionare qualitativamente questo tipo di consultazione, è aumentare il numero delle firme, portandole da 500mila a un milione».
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Amedeo La Mattina
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