Rallenta la crescita del lavoro
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Per l’Ocse nel 2001 l’incremento si fermerà all’1,6% a causa della frenata dell’economia mondiale
 Rallenta la crescita del lavoro Entro il 2002 la disoccupazione al 9,2% - Raccomandazioni per politiche attive e differenziate Mariolina Sesto
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(NOSTRO SERVIZIO) ROMA - Cala la disoccupazione ma cresce poco il numero degli occupati. È questo il trend del mercato del lavoro italiano secondo l’Ocse. Il rapporto annuale sulle prospettive occupazionali in 14 dei 30 Paesi aderenti all’Organizzazione — presentato ieri in Italia presso la sede del Cnel — attribuisce al nostro Paese un tasso di disoccupazione al 10% quest’anno e al 9,2% entro il 2002. Una diminuzione di quasi un punto percentuale, che in cifre equivale a 300mila disoccupati in meno tra il 2000 e il 2002. Di contro, le stime Ocse non prevedono un aumento degli occupati di pari tenore. E infatti il tasso di occupazione, che è cresciuto dell’1,9% nel 2000, è destinato a ridimensionarsi nel 2001 intorno all’1,6% e a non superare l’1,7% nel 2002. «Si prevede una crescita molto leggera — ha spiegato Norman Bowers, capo divisione analisi e politiche del emrcato del lavoro Ocse — a causa dell’andamento incerto dell’economia mondiale. Sarà la politica monetaria della Bce a determinare in larga parte il ciclo economico e dell’occupazione in Italia. Purtroppo è previsto un rialzo dei tassi da parte della Fed seguito da un’analoga manovra da parte della Banca europea». I nuovi posti di lavoro, comunque, riguarderanno tutte le tipologie di contratto, da quello a tempo indeterminato ai cosiddetti lavori atipici. Il calo dei disoccupati italiani risulta perfettamente in linea con quanto rilevato dall’Ocse negli altri Paesi Ue. La media dell’Unione europea parla di una disoccupazione in diminuzione dal 7,7 al 7,3% tra quest’anno e il prossimo. In controtendenza invece il dato riscontrato nei Paesi Ocse dove si prevedono 700mila disoccupati in più tra il 2000 e il 2002 principalmente a causa del rallentamento della produzione negli Stati Uniti. Nel confronto con questi Paesi emerge invece lo scarso utilizzo da parte dell’Italia di strumenti di flessibilità del lavoro come il part-time e il lavoro temporaneo. I dati si riferiscono al ’99 ma marcano differenze sensibili: nell’impiego a tempo parziale siamo indietro di oltre 4 punti rispetto alla media Ocse, nei contratti a tempo determinato ci fermiamo a due punti di distanza. Sulla base del rapporto, l’Ocse dà al nostro Paese qualche suggerimento per migliorare il quadro occupazionale e il relativo contesto sociale. Nell’editoriale della versione italiana, l’organizzazione raccomanda «l’adozione di politiche attive e differenziate del lavoro in favore di chi ha bisogno di un aiuto temporaneo o rischia un’esclusione durevole. Politiche che possano contribuire a combattere la povertà e a favorire l’inserimento professionale, come interventi a favore delle famiglie e orari di lavoro flessibile». Consigli dettati da un’ulteriore rilevazione, condotta tra il ’93 e il’95, che assegna all’Italia un tasso di incidenza della povertà sulle famiglie di due punti superiore rispetto alla media Ue. Performance peggiori vengono registrate infatti solo in Grecia e in Portogallo. Quantificando il fenomeno, emerge che il 13,5% delle famiglie italiane dispone di un reddito inferiore alla metà della media nazionale. Una situazione quasi sempre legata alla mancanza temporanea di lavoro, al perdurare dello stato di disoccupazione, o a lavori precari, intermittenti e poco remunerati. Ad essere colpiti sono soprattutto le famiglie monoparentali e i più giovani. I dati presentati dall’Ocse fanno il paio con quelli resi noti, sempre ieri, dall’Isae. L’istituto di studi e analisi economica ha condotto un’indagine sulla povertà, basandosi sulla percezione soggettiva del fenomeno. Ed è risultato che la percezione di non riuscire a mantenere il proprio standard di vita è cresciuta fra gli italiani di oltre un punto percentuale tra il ’99 e il 2000. La soglia media indicata dalle famiglie italiane per poter sbarcare il lunario è pari a un milione 875mila lire al mese e sono soprattutto le famiglie del Nord a credere che il costo della vita sia aumentato. A dichiarare di avere bisogno di maggiori risorse finanziarie per mantenere il proprio status sono soprattutto i single, in maggioranza anziani ultrasessantacinquenni. Per la maggioranza dei 2000 intervistati le voci di spesa più preoccupanti sono i costi dell’abitazione, le tariffe e le spese mediche. Non destano invece grossi problemi i prezzi degli alimentari. La percezione della povertà risulta decisamente più consistente al Sud che al Centro e al Nord. Sabato 21 Luglio 2001
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