8/5/2007 ore: 9:35

Postalmarket: così finisce un’impresa

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    martedì 8 maggio 2007

    Pagina 15 - Economia e imprese



    Postalmarket, così
    finisce un’impresa
      La proprietà chiude l’ultimo stabilimento Senza lavoro i 140 dipendenti rimasti
        di Giampiero Rossi/ Milano

        FUORI CATALOGO - Questa volta è finita davvero. Postalmarket non c’è più. Lo storico marchio delle vendite per corrispondenza scompare dalla scena, sopraffatto non tanto dall’avvento di internet e di tutte le nuove forme di commercio, quanto da una scellerata e velleitaria rapacità imprenditoriale.

        Dopo un calvario durato una dozzina d’anni, la pietra tombale è stata posta dal gruppo Bernardi, società friulana della grande distribuzione di abbigliamento, che ha cercato di utilizzare Postalmarket come testa d’ariete per ben altri business e che ora può lucrare abbondantemente su una speculazione immobiliare. L’ultimo ostacolo erano quei 140 dipendenti reduci da una progressiva falcidia di posti di lavoro avviata dalla precedente proprietà. Ma nessuno si è commosso, ai vertici della Bernardi: la società ha comunicato ai sindacati la chiusura dello stabilimento di Peschiera Borromeo (Milano) e ha offerto di recuperare soltanto 25 lavoratori in cambio del licenziamento di tutti gli altri. «E secondo loro avremmo pure dovuto ringraziarli», commenta sarcastico Federico Antonelli, sindacalista della Filcams Cgil di Milano che da anni si batte per tutelare i dipendenti della Postalmarket.

        Del resto il vecchio catalogo che fino a pochi lustri addietro faceva praticamente parte degli arredi domestici di mezza Italia navigava in cattive acque già alla fine degli anni novanta. Allora il proprietario era Eugenio Filograna, che lo utilizzò per promuovere la propria candidatura parlamentare nelle liste di Forza Italia e che dopo l’avventura politica finì in manette per bancarotta. Nel 2003 entra in scena il gruppo Bernardi. Sembra l’opportunità che i lavoratori e i sindacati attendevano, ma quasi subito salta fuori il trucco: la società friulana, infatti, si propone come cavaliere bianco per Postalmarket, ma in cambio chiede alla regione Lombardia di convertire un’area non edificabile in centro commerciale. Un ricatto giocato sulla pelle dei lavoratori, denunciano i sindacati.

        In ogni caso, al prezzo di un doloroso accordo sulla cassa integrazione, Postalmarket passa sotto il controllo della Bernardi, che rimette in circolazione i cataloghi e, nel 2005, stringe un’alleanza con la francese Redoute, leader europeo delle vendite per corrispondenza. Già, perché mentre in Italia si parla di un settore ormai morto, nel resto del mondo c’è che fa soldi a palate con questo vecchio sistema. Anche il matrimonio con i francesi dura poco e si arriva alla situazione attuale con la decisione della Bernardi di interrompere la pubblicazione dei cataloghi e di chiudere definitivamente lo stabilimento di Peschiera Borromeo. I sindacati trattano per salvare il salvabile, ma la proprietà ha le idee chiare: vuole sbarazzarsi del fardello Postalmarket per poter mettere in vendita l’immobile alle porte di Milano portando a casa una bella plusvalenza: 35 milioni di euro per uno stabilimento pagato 10 milioni tra le proteste dalla banca Antonveneta che vantava ipoteche su quell’immobile. E in più si tiene in mano il marchio Postalmarket. Non si sa mai.

        «Le iniziative di gruppi come Mediaset, Rcs e molti altri in Europa e nel mondo dimostrano che le nuove tecnologie, a partire da Internet, possono rilanciare le vendite per corrispondenza - commenta amareggiato Federico Antonelli - ma questa è l’imprenditoria italiana: nessuna innovazione nelle idee ma grande attenzione alle speculazioni».

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