Per l’Ocse siamo già più stakanovisti di tedeschi e francesi
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29.03.2004 ore lavorate a confronto
Ma per l’Ocse siamo già più stakanovisti di tedeschi e francesi
ROMA Gli italiani lavorano 210 ore più dei tedeschi e 99 ore più dei francesi, a dirlo è l’Ocse in un rapporto pubblicato nel settembre scorso che ci fece guadagnare l’appellativo di «stakanovisti» con in media 1619 le ore di lavoro in un anno, 1552 per i lavoratori dipendenti. Altro che 35 ore. La riduzione dell’orario di lavoro settimanale, una tendenza storica che si è sviluppata nel corso di un secolo segnando le battaglie sindacali «sembra aver rallentato negli ultimi decenni - scrive l’Ocse - e in alcuni paesi si è addirittura bloccata». In altri, come il nostro, si rischia di tornare indietro a sentire il premier. La ricerca Ocse analizza i tempi lavorativi in tutti i paesi del mondo, arriva alla conclusione che la media è ancora di 38 ore settimanali, ma è in costane aumento la fascia di chi ne lavora più di 45. È il caso, ad esempio, della Grecia, dell’Islanda e del Regno Unito. L’Italia si colloca al sedicesimo posto della classifica dei super-orari: non tocchiamo i picchi asiatici, messicani o dei cechi e degli slovacchi, ma guardando all’Europa gli italiani risultano inchiodati al lavoro di più non solo rispetto ai belgi e ai danesi, ma anche ai vicini francesi e ai tedeschi. Altri dati: il mito dei giapponesi è uscito piuttosto indebolito dalla ricerca Ocse, i lavoratori del Sol Levante passano 1809 ore al lavoro (1837 i lavoratori dipendenti) ma fanno meglio i cechi (1980 ore), gli slovacchi (1979) i messicani (1.888) e gli islandesi (1812). Tra i soli lavoratori dipendenti il primato spetta ai coreani che surclassano il resto del mondo con ben 2.410 ore. A parlare di stakanovismo dei lavoratori del Bel Paese anche qualche classifica meno ufficiale: è il caso dell’indagine realizzata un anno fa da Monster, uno dei più noti network mondiali nella selezione del personale su Internet che ha «monitorato» oltre 20 mila utenti di 12 paesi europei. Il 76% degli interpellati in Italia ha dichiarato di lavorare più delle 40 ore fissate dalla legge, (la media europea era del 56%) e il 23% ha detto di lavorarne più di 50. «Ma c’è un altro punto, ed è l’altissimo livello di produttività del nostro lavoro - aggiunge Beniamino Lapadula, responsabile economico della Cgil -. È tra i più alti del mondo, ma da un paio di anni ha smesso di crescere. Questo è il vero nodo da sciogliere, si dovrebbe intervenire con investimenti per l’innovazione, per la formazione in modo da valorizzare il capitale umano e fermare la tendenza negativa». Si deve mantenere alta la produttività del lavoro, quindi, non andare a tagliare qualche festività o giorno di ferie «riducendo peraltro le retribuzioni e il costo del lavoro». Per Lapadula «imbellettare il Pil come si tenta di fare serve a dire che la finanza pubblica è sotto controllo e quindi ci si può permettere la riduzione della pressione fiscale. Altrimenti al governo i conti non tornano». C’è da aggiungere che ogni anno bisestile con il suo giorno in più il suo contributo alla crescita del Pil lo dà automaticamente. Nel calendario di quest’anno poi sono spariti il ponte del 25 aprile (che cade di domenica come il 15 agosto) e quello del primo maggio che cade di sabato, come il 25 dicembre e va da sé che il 26 sarà domenica. Insomma qualche giorno di lavoro in più c’è già. fe.m.
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