Per l’Alcoa ultima fermata L’azienda pronta a lasciare
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Per i lavoratori e i sindacati è una sorta di giorno della verità: quello in cui l’Alcoa dovrà dire se fare nuovi investimenti e andare avanti con la produzione oppure fermare gli impianti di Portovesme e Fusina. Ipotesi annunciata i giorni scorsi nell’incontro con i sindacati che ora dovrà essere ufficializzata, nero su bianco. Il giorno della verità è il 7 gennaio, quando al ministero dello Sviluppo economico si svolgerà l’incontro tra azienda, governo, Regione Sardegna e sindacati. «In quella sede - dice Roberto Puddu della Camera del lavoro del Sulcis Iglesiente – dovranno essere sciolti tutti i nodi e l’azienda dovrà dire una volta per tutte cosa vuole fare di Portovesme e Fusina». Ossia continuare a produrre o chiudere.
«Il timore è che Alcoa voglia spegnere gli impianti e fermare la produzione - dice Franco Bardi, segretario della Fiom del Sulcis Iglesiente - anche perché quello che l’amministratore delegato ha detto poco prima di Capodanno è chiaro: le condizioni offerte dal ministero per l’acquisto di energia a prezzi in linea con il mercato europeo non sarebbero state raggiunte e quindi dal 7gennaio si procede con la fermata degli impianti e la chiusura degli stabilimenti».
LOTTA
Una posizione che i sindacati hanno deciso di respingere al mittente. «C’è la possibilità concreta, dopo la forte mobilitazione dei mesi scorsi, di acquistare energia a prezzi in linea con la media europea. Non vorremmo che la vicenda tariffe fosse solo un pretesto per chiudere e de localizzare - aggiunge Bardi – perché per difendere questa fabbrica che appartiene a questo territorio e a tutti i lavoratori siamo pronti a nuove azioni di protesta». La tregua siglata ai primi di dicembre quando i lavoratori hanno lasciato l’occupazione a 65 metri di altezza e manifestato a Roma davanti al ministero dello sviluppo economico è giunta ormai alla fine. «Ormai manca davvero poco a quello che noi chiamiamo il giorno della verità - dice Marco Grecu, segretario generale della Cgil del Sulcis Iglesiente - qui ci troviamo davanti a una situazione che rischia di diventare catastrofica, perché se chiude Alcoa non c’è più futuro neppure per l’Eurallumina, la Ila, l’ex Sardal e le altre imprese d’appalto che operano nel polo produttivo di Portovesme».
INDOTTO
A rischiare di finire per strada sono i lavoratori del polo industriale di Portovesme in Sardegna e quelli di Fusina in Veneto. Migliaia di lavoratori tra dipendenti diretti dell’Alcoa e dipendenti delle imprese d’appalto che negli impianti della multinazionale si occupano di manutenzione e servizi. E mentre il governatore della Sardegna Ugo Cappellacci lancia un appello monito all’Alcoa - «l'atteggiamento dell'azienda desta una certa meraviglia, alla luce del fatto, che, come è noto, il 7 gennaio è stato fissato un incontro presso il Ministero dello sviluppo economico per verificare lo stato dell'arte, mettere le carte sul tavolo e verificare gli impegni presi» - i sindacati rilanciano la vertenza e chiamano in causa il governo. «L’Alcoa nasce dalla privatizzazione delle vecchie partecipazioni statali - dice Marco Grecu - ebbene, se non ci sono soluzioni lo stato faccia valere i crediti che vanta verso questa azienda e proceda con i progetti per salvare produzione e posti di lavoro». Che per il sindacalista potrebbe passare per «l’individuazione di un nuovo soggetto imprenditoriale». Nel frattempo i sindacati si preparano per il vertice del 7 gennaio. «È chiaro che per noi la vertenza resta sempre aperta. Alcoa però deve dire una volta per tutte cosa vuole fare.
Ma alla chiusura, sia chiaro, diciamo da subito no».