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Pensioni: piace il terno 58-59-96

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    domenica 8 luglio 2007

    Pagina 4 - Primo Piano

    PREVIDENZA
    TRATTATIVA INFINITA
      Compromesso - Per convincere Prc, Cgil, Cisl e Uil una lista ampia
      di lavori usuranti e via agli incentivi
        Pensioni, piace
        il terno 58-59-96
          Incentivi alle donne per restera al lavoro fino a 62 anni

          ALESSANDRO BARBERA

          ROMA
          Lunedì l’incontro per tentare di chiudere l’accordo sulla platea dei pensionati a cui concedere l’aumento delle «minime» (dovrebbero essere tre milioni e mezzo per 30 euro medi), a metà della settimana il vertice per formalizzare la proposta del premier sullo «scalone». L’agenda governo-sindacati per chiudere la partita previdenziale c’è, l’accordo ancora no. Prende però corpo la soluzione possibile: un mix fra scalini e quote accompagnato da un innalzamento dell’età della vecchiaia per le donne (si ipotizza a 62 anni con incentivi) e da una lista di esenzioni per operai e «turnisti».

          Il meccanismo del quale si discute in queste ore non è troppo complicato: invece del passaggio brusco dell’età pensionabile da 57 a 60 anni il primo gennaio previsto, dal primo gennaio 2008 l’età salirebbe a 58 anni. Dopo 18 mesi, il primo luglio 2009, il primo scalino a 59 anni. Dal primo gennaio 2011 l’aumento obbligatorio dell’età sarebbe sostituito da «quota 96», ovvero dalla somma fra età anagrafica e contributi versati. Si potrebbe cioè andare in pensione con 60 anni e 36 di contributi, ma anche con 59 e 35 o 58 e 37. Nell’ala sinistra del governo, fra i sindacati e il leader della Cisl Bonanni spingono per «quota 95». In ogni caso si tratta di un escamotage per non dire esplicitamente che da allora l’età minima salirebbe a 60 anni: il requisito minimo dei 35 anni di contributi resterebbe intatto. È una soluzione costosa (secondo i calcoli della Ragioneria nel biennio 2010-2012 vale un paio di miliardi l’anno di maggiori spese), ma molto meno di quanto non lo fosse l’ipotesi degli incentivi volontari. Benché ieri il segretario confederale della Uil Domenico Proietti si sia detto «non convinto», sindacati e Rifondazione sembrano comunque in grado di «digerire» la soluzione.

          Del resto dal cilindro del ministro Damiano sono uscite ormai tutte le soluzioni possibili. Scartati i soli incentivi (troppo costosi per il governo), i soli scalini (troppo «rigidi» per Rifondazione) e i disincentivi (troppo penalizzanti per i sindacati) ad oggi lo schema scalini-quote è l’unica mediazione. Per compensarne i costi il governo tenterà di far digerire a Rifondazione e sindacati l’unificazione degli enti previdenziali e l’aumento dell’età per le donne. L’ala riformista dell’Unione - dalla Margherita ai Ds critici come Morando - premono perché si dia un segnale in quella direzione. Oggi, caso raro nel mondo, l’età per la vecchiaia degli uomini è fissata a 65 anni, solo a 60 per le donne. L’ala radicale sarebbe disponibile a raggiungere i 62 anni. A sua volta Rifondazione e i sindacati otterranno due compensazioni: una lista ampia di lavori usuranti (deve comprendere tutti gli operai e i «turnisti» come gli infermieri) e incentivi per tutti coloro che decidono di rimanere al lavoro pur avendo raggiunto i 40 anni di contributi.

          Se fino a ieri il problema di Prodi era dare un segnale verso Rifondazione, ora c’è da tranquillizzare soprattutto l’ala riformista della maggioranza, Confindustria, la Commissione europea e l’ex premier Lamberto Dini, determinato a dire no a qualunque soluzione che aumenti la spesa previdenziale. Anche a costo di far cadere il governo. Il direttore generale di Confindustria Maurizio Beretta ieri è stato duro: «Non capiamo questa insistenza dei sindacati e di alcuni partiti per andare di fatto ad una controriforma previdenziale». A sostegno delle tesi più «rigoriste» si stanno lentamente schierando i leader di Ds e Margherita. Piero Fassino ora dice «non è scandaloso andare in pensione a 60 anni», Francesco Rutelli sottolinea l’importanza di una riforma che non penalizzi i figli. Lunedì mattina tre ministri - Padoa-Schioppa, Melandri e Damiano - incontreranno a Palazzo Chigi il «forum dei giovani» per ascoltare le loro ragioni. Subito dopo il ministro dell’Economia partirà alla volta di Bruxelles per l’Eurogruppo: a lui spetterà il compito di convincere la Commissione Ue che la modifica dello «scalone» sarà compensata da altri risparmi.

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