Pensioni, l’età media salirà a 63-64 anni

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17 Settembre 2003
DAL 2008 PER AVERE IL VITALIZIO SERVIRANNO 40 ANNI DI CONTRIBUTI. PER LE DONNE IL LIMITE SALE A SESSANT’ANNI Pensioni, l’età media salirà a 63-64 anni Accordo sulla riforma. Via libera alla delega Maroni con gli incentivi
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Roberto Giovannini
ROMA Dopo la doppietta Tremonti-Berlusconi di ieri non dovrebbero esserci in pratica più dubbi. Prima l’intervista al «Corsera» del ministro dell’Economia, poi a Palazzo Chigi le affermazioni del premier. A questo punto - anche se solo nella serata di lunedì per An Gianni Alemanno e Mario Baldassarri avevano affermato che era ancora tutto da decidere - lo schema di intervento sulle pensioni appare ormai definito nelle sue linee guida. Ovvero, via libera alla delega Maroni, con gli incentivi per chi rinuncia alla pensione di anzianità e il semaforo verde ai fondi pensione, e dal 2008 per smettere di lavorare serviranno 40 anni di contributi oppure 65 anni di età. Quel che resta da discutere sono dettagli più o meno secondari, oppure la gestione della transizione dal vecchio al nuovo sistema. Su questo ci sarà spazio per negoziare con i sindacati. Il dibattito è già aperto: per alcuni sarebbe una riforma «finta». O meglio, una «promessa di riforma» che non dà alcun risultato di risparmio immediato, più o meno mascherata da misure largamente simboliche se non controproducenti dal punto di vista della spesa. Tenendo conto del fatto che, nonostante gli incentivi, è probabile che chi potrà «fuggire» verso il pensionamento difficilmente si lascerà scappare l’opportunità. Per altri, al contrario, si tratta di un massiccio intervento sul sistema che avrà effetti significativi sulla spesa pensionistica e sull’età media di pensionamento, sia pure tra qualche anno. A ben vedere, secondo molti esperti e addetti ai lavori che hanno analizzato lo schema di riforma descritto da Tremonti, le conseguenze concrete ci sarebbero, eccome. In poche parole, i lavoratori che oggi hanno un’età di 52 anni possono tranquillamente mettere una croce sopra la speranza di poter andare in pensione di anzianità dal 2008. Se non saranno introdotti meccanismi di attenuazione o di transizione, se per andare in pensione anticipata servissero davvero almeno 40 anni di contributi, in pratica per queste persone il traguardo dell’assegno di anzianità sarebbe a lungo (almeno per altri quattro-cinque anni) irraggiungibile. Secondo alcune stime, una volta attuata la riforma l’età media di pensionamento (attualmente a quota 59 anni e mezzo) si innalzerebbe verso i 63-64 anni. Per le donne, in particolare, la prospettiva di pensionamento verrebbe affidata alla pensione di vecchiaia a 60 anni di età. I 40 anni di lavoro e di contribuzione necessari per quella di anzianità sarebbero appannaggio soltanto di una ristretta fascia di lavoratrici particolarmente precoci, come le operaie tessili. E sarebbero importanti anche gli effetti di risparmio. Alcune previsioni parlano addirittura di risparmi di circa 1,5 miliardi di euro in ragione d’anno, a partire dal 2008. Anche perché nella morsa delle nuove più stringenti regole finirebbero almeno 4-500.000 persone l’anno, che attualmente in base alle regole vigenti possono maturare i requisiti per le pensioni di anzianità di qui al 2030, anno in cui comincerà ad entrare a regime la pensione contributiva definita dalla legge Dini. In tutto, circa 10 milioni di lavoratori. Naturalmente molto dipenderà dalla definizione concreta dei meccanismi di transizione alle nuove regole, e alla definizione delle possibile fasce di lavoratori che godranno di un trattamento più generoso (come chi svolge lavori usuranti, o i lavoratori precoci). Resta il fatto che per un congruo numero di anni ci sarebbe un significativo (e crescente) risparmio sul versante della spesa previdenziale. Un effetto dovuto anche al particolare profilo demografico e lavorativo di questi 10 milioni di italiani: saranno sempre meno quelli con una lunga carriera professionale iniziata in giovane età. E saranno progressivamente sempre di più quelli che si affacciarono nel mondo del lavoro negli anni ‘70: un lavoro magari giunto dopo qualche anno di studio e altrettanti di ricerca di un impiego. Per adesso, naturalmente, sono solo ipotesi di massima; in campo previdenziale spesso aggiustamenti anche modesti possono produrre conseguenze molto significative. E restano due interrogativi. Il primo, cosa accadrà di qui al 2008, ovvero se il meccanismo degli incentivi darà risultati. Il secondo, la reazione dei sindacati. Il governo ha messo in conto anche una forte protesta di Cgil-Cisl-Uil, sciopero generale compreso, ma si aspetta che i tempi lunghi della riforma alla fine sgonfino la mobilitazione sindacale.
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