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Orario, salta il «tetto» giornaliero |
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Una vera rivoluzione copernicana, quella che propone la nuova disciplina sull'orario di lavoro giornaliero. Da un sistema che ruotava sulle otto ore, più due al massimo di straordinario, e imponeva, quindi, ma indirettamente, o solo per converso, quattordici ore di riposo o, piuttosto, di non lavoro, comunque distribuite nell'ambito delle ventiquattro ore, si passa, ora, a un sistema fondato sul riconoscimento testuale di un diritto soggettivo a undici ore consecutive di riposo giornaliero. A queste si aggiunge una pausa interna all'orario lavorativo, di non meno di dieci minuti, se questo supera le sei ore. Il nuovo sistema normativo - previsto dal decreto legislativo 66/03, in vigore dal 29 aprile scorso -, peraltro, sempre capovolgendo il precedente, lascia alla contrattazione collettiva e individuale spazi più estesi di regolamentazione delle tredici ore (circa) che restano nell'arco delle ventiquattro ore della giornata. Manca, infatti, nel decreto che ha recepito le direttive comunitarie 104 del 1993 e 34 del 2000 e ha abrogato le disposizioni precedenti (dal Rdl 692 del 1923 all'articolo 13 della legge 196 del 1997) la delimitazione di un orario massimo giornaliero. Orario che è, invece, previsto, con un ampliamento a quattordici ore giornaliere, dalla direttiva 34/2000. Nella nuova disciplina manca inoltre l'indicazione di un orario giornaliero semplicemente "normale", cioè quello previsto dal rapporto di lavoro. Si è invece preferito, come il legislatore del 1997, fare riferimento solo all'orario settimanale di quaranta ore - tradizionale, ma non codificata filiazione della settimana lavorativa di cinque giorni e di otto ore al giorno - che, aggiungendovi gli straordinari, può arrivare fino a un massimo di quarantotto ore. Ma va subito detto che neppure le quarantotto ore settimanali rappresentano, nella nuova normativa, un orario massimo. Cioè non costituiscono un limite inderogabile, in quanto le ore devono essere, a loro volta, calcolate in ragione della media settimanale rilevabile nell'arco di un intero quadrimestre. Limite che la contrattazione collettiva, in presenza di speciali ragioni oggettive, tecniche e organizzative, non esemplificate dal decreto, ma da specificare espressamente nelle relative pattuizioni, può estendere al semestre e, addirittura, all'anno. Dal che deriva la possibilità di ulteriori deroghe anche al limite delle quarantotto ore settimanali. Tutto, come si vede, all'insegna della maggiore flessibilità, che è il vero motivo ispiratore delle direttive comunitarie, recepito senza riserve, anche se con qualche indugio, dal legislatore nazionale. I risultati di questa rivoluzione, che rientra nel travagliato ambito delle riforme intese a modernizzare il mercato del lavoro, dipendono però, quasi esclusivamente, dalla volontà e dalla capacità negoziale delle parti sociali. Anche a livello di singole aziende, infatti, è l'autonomia dei soggetti interessati a dover decidere se avvalersi, o meno, dell'assenza di un limite giornaliero legale per avviare quel significativo processo di rimodulazione dell'orario di lavoro settimanale, in funzione dei contrapposti, ma non sempre divergenti, interessi, che l'attuale disciplina legislativa sembra limitarsi ad auspicare e favorire. FRANCO TOFFOLETTO
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