No alle intimidazioni - di Paolo Sylos Labini

No alle intimidazioni di Paolo Sylos Labini
Credo di avere qualche titolo per parlare dell’articolo 18 e della facoltà di licenziare: nel 1985 quando l’argomento era tabù perfino per la Confindustria io scrissi un articolo su Repubblica sostenendo che andava ampliata la facoltà di licenziare, allora estremamente limitata a causa delle norme originarie dello Statuto dei lavoratori; l’articolo portò all’inclusione del mio nome nell’elenco dei «nemici del popolo» preparato dalle Br. Volevano togliermi di mezzo e, come mi spiegò il giudice Santiapichi, ero in ballottaggio con Tarantelli, che alla fine fu preferito perché, così pare, più rappresentativo di me - io sono sempre stato un cane sciolto. Per qualche mese ebbi la scorta - un fatto comunque triste e deprimente. Ho narrato brevemente tutto ciò nel mio recente libro-intervista. In quell’articolo, però, sostenevo che, se una facoltà di licenziare estremamente bassa è un male, in quanto protegge i pelandroni e scoraggia decisamente le assunzioni, è un male anche una facoltà piena di licenziare, per motivi appena accennati in quell’articolo e sviluppatisi in seguito in altri scritti, fra cui due recenti articoli sull’Unità: chi è legato precariamente ad un’impresa non è incentivato a migliorare certe sue specifiche qualità, d’altra parte, i manager non sono incoraggiati a introdurre innovazioni che fanno crescere la produttività del lavoro, con danno, a lungo andare, della competitività internazionale - una tesi che pochi mesi fa è stata fatta propria dalla Confindustria (da quelle parti non sono tutti miopi). Dal 1985 ad oggi nel nostro paesi i progressi verso una maggiore flessibilità nel mercato del lavoro sono stati notevoli, soprattutto per l’introduzione dei contratti atipici, fra cui quelli a tempo parziale e quelli a tempo definito. In breve, vanno male sia una flessibilità estremamente bassa sia una flessibilità incondizionata, com’è in America: occorre perseguire un optimum. Oggi, ho sostenuto più volte, specialmente per effetto dei contratti atipici, siamo vicini a quest’optimum - se mai si tratta di rivedere le caratteristiche e le condizioni di applicazione di tali contratti. La rigidità dell’originario Statuto dei lavoratori è dunque largamente superata: ciò è stato pubblicamente riconosciuto da Umberto Agnelli, Pininfarina, Billè. Perché allora Maroni e cioè il governo Berlusconi insiste tanto sull’articolo 18? A me pare ovvio e oramai sembra chiaro a tutte e tre le confederazioni: per dare un colpo di clava sulla testa del sindacato, dopo aver tentato più di una volta di dividere la Cgil dalla Uil e dalla Cisl; si tratta cioè di un obiettivo politico, non economico. Con una insinuazione ributtante il Cavaliere sostiene che chi appoggia la manifestazione della Cgil e chi critica i progetti del governo diventa contiguo dei brigatisti che hanno barbaramente assassinato il professor Biagi. Non sapendo che altro escogitare, cerca di delegittimare moralmente i critici e gli oppositori. Alla Cgil che ha organizzato la manifestazione, noi diciamo: sì. Ai miserabili tentativi d’intimidazione, noi rispondiamo: no.
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