7/7/2010 ore: 11:35

Nasce la Cgil di opposizione

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Entusiasta e travagliata, «rimotivante» e cautelosa. Come ogni nascita, anche la costituzione ufficiale della nuova «area programmatica» di sinistra interna alla Cgil ha mantenuto fede alle caratteristiche proprie degli esordi. Figlia diretta della «mozione due» nel congresso da poco concluso a Rimini, tanto da conservarne il titolo («La Cgil che vogliamo»), l’area capitanata fin qui da Gianni Rinaldini, Domenico Moccia e Carlo Podda, presenterà oggi stesso in Corso Italia il documento costitutivo – debitamente firmato dai componenti del Direttivo confederale che vi si riconoscono – aprendo formalmente la procedura per strutturarsi nei territori e nelle categorie. Non era l’unica soluzione possibile, ricordano in diversi. Si poteva anche scegliere – a norma di statuto Cgil – la via dell’opposizione » interna, con conseguente rinuncia a essere presenti nelle strutture di direzione a tutti i livelli.Macosì è andata e nessuno ha rimorsi. L’entusiasmo deriva da ritrovarsi «liberi» di dire quel che si pensa, senza tanti giri di parole
e intermezzi in sindacalese. Lo spiega bene Mimmo Moccia, ex segretario dei bancari, che ammette di aver «superato in questo percorso la dissociazione tra le più intime convinzioni e le prassi paludate» imperanti ai piani alti del sindacato. Ma arriva anche dal sapere che «il quadro attivo» della Cgil non si rappresenta nelle percentuali congressuali (solo il 17% alla «mozione due»); tant’è che il candidato (dalla maggioranza) a segretario generale nelle Marche non ha ricevuto i voti necessari; o che il neosegretario dei bancari l’ha spuntata per il rotto della cuffia (appena il 50% degli «aventi diritto») e quello dell’Emilia ha superato il quorum di appena tre voti. Senza enfasi, segni di fibrillazione che probabilmente aumenteranno da qui a settembre ottobre, quando la «candidata alla successione » – Susanna Camusso – dovrà sottoporsi alla votazione decisiva. Ma non sono gli equilibri interni il punto focale dell’attenzione. C’è invece la consapevolezza – confermata dai sondaggi – che il sindacato è diventato «ininfluente», «ultimo come credibilità tra le organizzazioni di massa ». E che l’occasione del congresso per condurre «una riflessione strategica» è andata in gran parte perduta, sommersa dalle accuse agli «alternativi» di voler fare solo «una battaglia di potere», visto che «differenze di linea sindacale non ce n’erano». E non c’è alcuna soddisfazione nel vedere le proprie più nere previsioni confermate dai fatti: «in soli quindici giorni la linea decisa a Rimini è andata
fallita». Lì la maggioranza raggrumatasi intorno a Guglielmo Epifani aveva finalmente ammesso che «le differenze ci sono e sono profonde », scommettendo sulla ripresa dell’unità con Cisl e Uil, nonché proponendo a Confindustria e governo uno «scambio» (congelamento dei salari nel pubblico impiego come contrappeso a una difesa dell’occupazione). Un «capolavoro» andato distrutto in un attimo: due accordi separati senza la Cgil e il «blocco» salariale, ma senza contropartite. Le cautele riguardano invece la forma organizzativa da dare all’area, con i timori di «finire come Lavoro e società» da un lato o rimanere «chiusi a riccio». C’è chi vede indispensabile comunque una strutturazione capace di individuare luoghi legittimati a prendere le decisioni e chi teme «verticismi». La soluzione per ora è «costruire l’area», e in fretta, perché «qui sta precipitando tutto; questione di settimane, non di anni». E non basta «bloccare la deriva in Cgil», perché occorre «avanzare proposte in positivo». Ma questa esperienza può – è la sensazione comune – essere «più aggregante di quel che siamo ora». Il segnale sociale – quindi anche sindacale – viene com’è ovvio da Pomigliano. Lì, riassume Rinaldini, ci hanno spiegato che «non solo l’azienda può fare quel che vuole, ma vuole anche la nostra firma, perché così si evitano gli scioperi dopo».Marchionne, governo e forse anche qualcuno nella Cgil aveva dato per scontato un 85% di «sì», grazie al ricatto e alla disastrata condizione sociale campana. Una «scossa» salutare che mostra un paese molto meno «succube» di quanto non si creda, ma tutto da interpretare, organizzare, comprendere fino in fondo. Perché è certamente vero che «la Cgil è l’unica organizzazione di massa che può reggere questo scontro in questa crisi». Ma – oltre a ritrovare nel suo insieme uno spirito fin qui piuttosto dormiente – ha bisogno di nutrirsi di tutto ciò che si muove, da Pomigliano all’Asinara, ai precari della scuola o dell’università. Con entusiasmo e cautela, ma senza esitazioni.

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