Morire da vigilantes, per due milioni al mese
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Mercoledì 25 Aprile 2001 |
IL CASO
Morire da vigilantes, per due milioni al mese
Scoppia la polemica sulla sicurezza: una circolare vieta il trasporto dei valori dopo le 22
di ROBERTO PONTIROLI GOBBI
E la morte ha scatenato le polemiche. I sindacati sono sul piede di guerra. Il tragico bollettino dice che in sette anni in Italia ci sono stati 32 vigilantes uccisi e oltre un centinaio i feriti. Perchè queste rapine, questi assalti stile terrorismo ai portavalori hanno come denominatore comune un bagno di sangue. Le segreterie generali di Filcams-Cgil, Fiscat-Cisl e Uiltucs-Uil di Roma e Lazio chiedono un rapida convocazione dal Prefetto Giuseppe Romano «al fine di convenire - si legge in una nota congiunta delle tre confederazioni - una modalità di trasporto valori tale da diminuire, se non eliminare del tutto, i margini di rischio per i lavoratori e la cittadinanza».
Alla base di tutto una regola che alla luce dei fatti è disattesa, almeno a Roma: il divieto impartito fin da metà dello scorso anno dal capo della polizia Gianni De Gennaro che vieta il trasporto valori dalle 22 alle 6 di mattina. Una normativa antirapina inapplicata, soprattutto nella Capitale, dove la Questura non ha mai potuto rendere operative tali norme come da tempo, al contrario, è già avvenuto in altre province d’Italia. Ciò perché il questore di Roma, siamo ai tempi di Arnaldo La Barbera, ha trovato la netta opposizione di alcuni grossi clienti delle società di portavalori, tra i quali le Poste e le banche. Dicono che di notte si viaggia più sicuri. Come si è visto lunedì, appunto.
E tutto ciò, peraltro, è documentato da una fitta corrispondenza tra il Viminale e la Questura di Roma. Uno scambio di corrispondenza iniziato fin da metà dello scorso anno.
Ma secondo l’Europol tutto è regolarissimo. Spiega un capitano dai capelli brizzolati, nel giardino della sede dell’istituto di vigilanza, che però non vuole rivelare il suo nome: «Le procedure di sicurezza sono state rispettate, nessuno sbaglio, nulla è stato disatteso. D’altronde quando si verifica un’azione di guerriglia come quella ai Granai dell’Ardeatina, la parola sicurezza non esiste più. C’è solo lo sgomento e la rabbia di tutti noi. Anche perché l’arbitro di calcio in campo ha la qualifica di pubblico ufficiale, come pure il controllore sull’autobus. Ma noi no. Che pure giriamo armati ed effettuiamo servizi ad altissimo rischio. Come associazione Angi la chiediamo da anni. Invano».
«Ma quali procedure di sicurezza rispettate - tuona Vincenzo Del Vicario, segretario nazionale del Savip, il Sindacato autonomo vigilanza privata - il furgone, come stabiliscono le norme, a quell’ora non doveva trovarsi lì. Di giorno un simile agguato non sarebbe mai potuto avvenire. E poi quanti soldi aveva realmente al suo interno quel blindato? Spero che la Questura lo stabilisca e prenda, una volta per tutte, i provvedimenti del caso».
Ma la sicurezza ha un costo. Elevato. «Esistono esplosivi coloranti, si potrebbero usare le auto di scorta - rileva Giovanni Zeghirella, comandante della Mondialpol di Roma - Ma i clienti vogliono risparmiare. Se il governo decidesse di defiscalizzare i trasporti di valori, i costi si abbasserebbero. A tutto vantaggio della sicurezza degli addetti».
Ma intanto i vigilantes muoiono, spargono sull’asfalto il loro sangue. Solo a Roma di guardie giurate ce ne sono oltre settemila. Turni di lavoro e straordinari massacranti: anche dodici ore al giorno. Hanno uno stipendio di un milione e seicentomila, un milione e ottocentomila lire al mese. Per salvare un miliardo, e forse più, in pochi istanti tra auto-bomba che esplodono e mitra che sparano all’impazzata. Come è accaduto lunedì notte in quell’inferno dell’Ardeatina. Dove è morto Massimo Ballanti.