Megale (Cgil): “Unicredit non sarà come la Fiat”
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“Qualcosa in meno ai top manager e qualcosa in più ai giovani” Agostino Megale, segretario generale della Fisac-Cgil, il sindacato del settore bancario e assicurativo sintetizza così la vertenza Unicredit che si è aperta dopo l’ennesima richiesta di esuberi (4700) da parte del gruppo bancario guidato da Alessandro Profumo. E avverte l’azienda di “non seguire cattivi esempi, come quello proposto dalla Fiat di Marchionne”.
C,è un po’ uno stile Fiat nel modo in cui Unicredit ha annunciato 4700 esuberi?
Abbiamo lanciato subito l’allarme e chiesto all’azienda di dirci chiaramente se l’ipotesi era quella di seguire la strada aperta dalla Fiat. Il fatto che Unicredit abbia detto di no e che intende rispettare il contratto nazionale ci dice che l’intenzione non è quella di seguire una ipotesi illiberale. E crediamo sia possibile in virtù di una pratica consolidata di confronto negoziale in azienda.
Ma Unicredit intende mettere fuori 4700 lavoratori, I numeri sono questi?
Sì, si tratta di un progetto di esuberi che riguarda 4100 dipendenti per i prossimi tre anni mentre 600 sono la “coda” degli esuberi dell’ultimo triennio e che non sono potuti uscire a causa del blocco delle finestre pensionistiche attuato dalla manovra Tremonti. E il risultato di una riorganizzazione interna e di accorpamento dei vari marchi del gruppo [il cosiddetto Bancone, ndr], su cui ci sarà un confronto serrato. Per noi si tratta di garantire almeno tre
condizioni: la condivisione del piano di riorganizzazione che finora non è stato discusso con il sindacato; un effettivo monitoraggio delle funzioni che si ritengono superate o sovrapponibili; la valutazione degli esuberi sulla base di un piano di sviluppo e delle effettive tutele attivate per i fuoriusciti. Da un lato c’è il prepensionamento e il fondo occupazionale ma dall’altro ci possono essere eccedenze in chi ha maturato i requisiti pensionistici. In questo caso diventa decisiva la volontarietà da parte dei lavoratori e soprattutto il punto che sta più a cuore alla Cgil, il lavoro per i giovani.
Insomma, l’approccio con Unicredit non ricalca un modello di pura contrapposizione?
In questa vertenza c’è la possibilità di affermare un modello alternativo a quello di chi vuole distruggere il contratto nazionale e questo modello passa per un vero e concreto “piano del lavoro” per i giovani, un piano straordinario che affronti una disoccupazione che tocca il 25 per cento e una crisi occupazionale ormai drammatica. In questo senso possiamo lavorare a un modello alternativo a Marchionne basato su un sindacato responsabile, su imprese che rispettino i contratti e sul lavoro per i giovani. Quindi la valutazione sugli esuberi la faremo sulla base del piano aziendale complessivo e su quanti nuovi posti di lavoro potranno essere creati.
C,è però una specificità nel settore finanziario, visto il suo ruolo nella crisi economica?
Il sistema creditizio italiano ha retto alla crisi, forse perché più arretrato rispetto a quello an
glosassone. Gruppi come Unicredit si sono posizionati meglio di altri e la politica di crescita e di internazionalizzazione degli ultimi anni, che è passata tramite accordi di fusione e di accorpamenti, ha garantito questo risultato. Ora si tratta di garantire che il sistema crediti- zio aiuti lo sviluppo economico e il risparmio delle famiglie, a partire dai lavoratori. Per questo andrebbero limitati i compensi ai “top manager” ma anche affrontato il problema della tassazione delle rendite finanziarie al 20 per cento, la tassazione delle transazioni speculative e l’istituzione di una patrimoniale, sulle grandi fortune, ad esempio sul modello francese.
li ruolo del governo? È chiaro che in Italia servirebbe un governo che avesse al centro i problemi del lavoro e ne fosse all’altezza e il governo Berlusconi non è certamente questo governo.
li sistema bancario ne è consapevole?
Da parte di Confindustria e delle imprese c’è stata una subordinazione perfino culturale al berlusconismo che non ha aiutato né le imprese né il paese. Servirebbero scatti di autonomia delle parti sociali. Lawiso comune che abbiamo realizzato congiuntamente all’Abi, l’associazione delle banche italiane, e che rimprovera al governo il blocco delle finestre pensionistiche è un pezzo di un progetto che punta a far tornare al centro della politica il lavoro, la dimensione sociale e lo sviluppo.