21/11/2005 ore: 11:24
Maroni sfida il premier: «Se si oppone è per interesse»
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Pagina 13 - Economia «Se si oppone è per interesse» Il via libera alla devolution da parte di una Cdl insolitamente compatta, non ha affatto ammorbidito la determinazione dei leghisti sul Tfr. Anzi. Ora Maroni e i suoi si sentono più liberi. «Non siamo più sotto schiaffo», sosteneva ieri il ministro. Il che non va interpretato come un "liberi tutti", bensì come la possibilità di condurre una battaglia all´interno della coalizione senza dover tenere "ritorsioni" centriste sulla riforma costituzionale. Il Carroccio si sente rafforzato, ma senza debiti. Proprio per questo – è la tesi di Maroni - «non possono essere Mediolanum e le altre compagnie di assicurazioni a bloccare tutto». E però questo continua ad essere il nodo da sciogliere, quello che ha fatto slittare già in un paio di occasioni l´approvazione della riforma. Una volta (il 5 ottobre scorso) in maniera clamorosa con un voto (addirittura per alzata di mano, evento rarissimo) del Consiglio dei ministri, che mise in minoranza Maroni e il compagno di partito Roberto Calderoli, con Berlusconi fuori dalla porta dopo aver ammesso il suo conflitto di interessi (Fininvest, infatti, è importante azionista di Mediolanum). La seconda (la scorsa settimana) con l´inaspettato rinvio alla prossima riunione del Consiglio dei ministri. E qui si giocherà la vittoria finale. Un po´ alla volta Maroni ha riconquistato l´appoggio della destra di An. Anche l´Udc sta con Maroni, ma senza passione, con il distacco che da sempre segna i rapporti tra i due partiti. Non resta che Forza Italia, o il premier Silvio Berlusconi. Il che è lo stesso. Qui – a parte il conflitto di interessi – si addensa una idiosincrasia ai sindacati. Fu proprio Berlusconi a dire che non avrebbe voluto fare «un regalo» ai sindacati, concedendo (come prevede la riforma di Maroni) una corsia preferenziale per il conferimento delle quote del Tfr ai fondi negoziali rispetto a quelli, per esempio, di origine assicurativa. Ma i forzisti guardano anche all´altra parte: alle piccole aziende, che è un loro tradizionale bacino elettorale, le quali si vedranno private di somme ingenti (si calcola che il flusso annuo del Tfr arriva a circa 13 miliardi di euro) per il proprio autofinanziamento, e che, dopo la riforma, dovranno rivolgersi alle banche e rispettare i rigorosi criteri introdotti con l´accordo di Basilea 2. Per questo, anche ieri, in Forza Italia si ipotizzava un rafforzamento della moratoria, già prevista dalla proposta Maroni, che per tre anni esclude dal meccanismo del silenzio-assenso le imprese non in regola con il protocollo di Basilea. |