 |
colloquio Giovanni Cerruti
|
 |
(Del 17/4/2002 Sezione: Interni Pag. 4)
|
PARLA IL MINISTRO DEL WELFARE: «NON HO MAI AVUTO L´INTENZIONE DI ARRIVARE ALLO SCONTRO SOCIALE» |
Maroni: non cederemo a chi mostra i muscoli |
«La partecipazione allo sciopero? Importante, ma più limitata che nel `94. Gli italiani sono convinti che le motivazioni siano politiche» |
E´come in una partita a scacchi: con lo sciopero generale hanno fatto la loro mossa, adesso tocca a noi...». Come in tutte le partite a scacchi, non è detto che la prossima sia una mossa rapida. Al contrario. «Certo non abbiamo ansia», dice Roberto Maroni. E' stata una giornata normale per il ministro del Welfare, o almeno così la vuol definire. «Erano tanti o pochi? Per me - spiega a metà pomeriggio - la prova dei numeri l'avevano già fatta con la manifestazione del 23 marzo. Dicono che lo sciopero è riuscito al 100%? Mi pare che ci sia qualcuno che esagera un po'. C'è stata una partecipazione importante, ma ad esempio la Fiat dice che si è fermata al 48,7 per cento. Meno dello sciopero del '94». In un martedì che deve essere normale Maroni incontra i panificatori e i mobilieri brianzoli, prepara le prossime missioni in Canada per il G8 e a New York per l'Onu... «Ecco, finito lo sciopero, celebrato il rito voluto dalla Cgil e seguito poi anche da Cisl e Uil, è ovvio che il dialogo dovrà riprendere». Ma nell'agenda del ministro ci sono impegni all'estero. «Poi ci sarà il 1° maggio...». Sembra di capire, e Maroni non dice nulla per smentire, che governo e ministero del Welfare abbiano una gran voglia di prendere tempo. Far dimenticare questo sciopero. «Ci siamo fermati per rispetto nei confronti dello sciopero generale - dice -, ora riprendiamo con i nostri tempi». E questa volta lenti. I tempi già cari alla vecchia Dc. «Che lo sciopero riesca o non riesca - diceva Maroni al mattino, in volo per Roma ospite di Roberto Castelli e dell'aereo del ministro della Giustizia - non cambierà nulla nell'azione del governo. Io sono convinto che riesca, ma sono altrettanto convinto che nella società italiana ci sia la convinzione che questa giornata ha poco a che vedere con i diritti dei lavoratori. E' uno sciopero politico e le conseguenze saranno politiche». Lunedì si è letto e riletto l'ultimo sondaggio di Renato Mannheimer. Ne ha parlato con Giulio Tremonti. «E' una conferma, per noi. Dice che nel nostro elettorato l'80 per cento è contrario allo sciopero. E che tra i cittadini italiani la percezione più diffusa è che questo sia uno sciopero politico». La giornata dev'essere normale, ma normale non può essere. La delegazione dei panificatori deve attendere perché a Maroni stanno raccontando le scritte e le minacce brigatiste sulla sede della Cisl di Este, nel Padovano: «Meno Biagi, meno sfruttatori, il prossimo sarà Maroni». Il ministro sfuma: «Mi sembra più grave quel che è accaduto a Torino con l'assalto alle sedi di partito o a Milano con le incursioni nelle agenzie del lavoro». Alle cinque del pomeriggio arrivano i primi dati sullo sciopero. «La partecipazione mi sembra più vicino al 50 che al 100 per cento, ma l'importante non era indovinare le previsioni: era che questo sciopero finalmente avvenisse». Come dire: ora che è passato, Maroni può riprendere i suoi contatti, i suoi fili. «Me l'hanno attribuita, ma l'intenzione di arrivare allo scontro sociale non l'ho mai avuta», dice. Ora che è passato ammette che qualche stranezza l'ha colpito, a parte una curiosità, «quella di sapere quanti, tra quelli che sono scesi in piazza, davvero conoscono le proposte del ministero». Una stranezza, ha confidato l'altro giorno al suo amico Daniele Marantelli, consigliere regionale Ds di Varese, è lo sciopero del pubblico impiego: «Ma se hanno appena rinnovato il contratto e non verranno sfiorati dall'articolo 18? Cos'è, dovremmo applicarle anche a loro?». Marantelli ha capito la battuta, ma l'ha messo in allerta: «Stai attento Bobo, i tuoi amici di governo alla prima occasione ti mollano e ti ritrovi Fini nei panni del mediatore». Maroni lo sa, è un rischio che ha già corso, ma questa non è proprio la giornata per tornarci su. Piuttosto, ora che se ne sono andati i panificatori e stanno per arrivare i mobilieri brianzoli con la richiesta di sgravi fiscali, è il momento di scrivere una nota ufficiale di commento. E poi, alle sette di sera, e dopo otto ore di pressioni, una telefonata con la diretta di «Radio Padania». «Ho grande rispetto per chi è andato in piazza, ma devo tener conto anche di chi non ha scioperato. A chi è contro il governo, capisco, va bene qualunque pretesto. Anche l'accusa falsa di voler ledere i diritti di chi lavora. Io dico che non si tocca nessun principio, a partire dalla "giusta causa". Dico che sono provvedimenti che aprono a nuove opportunità». Quando telefona a «Radio Padania» ricorda Marco Biagi. «Il professore diceva: "Abbiamo il mercato del lavoro più rigido d'Europa". Gli occupati sono il 50% e l'Unione Europea ci chiede di arrivare al 70». La sfida, ripete, è questa: non lo sciopero generale. «Non lo minimizzo, non mi permetterei, però il governo non può cedere a chi mostra i muscoli in piazza e ignora, o finge di ignorare, che se si continua così si creano solo lavoro nero e disoccupazione». E adesso, ministro, che succede? «Il giorno dopo è quello delle riflessioni, ma spetterebbe a chi ha protestato dire cosa intende fare. Finora alla richiesta di proposte alternative abbiamo ricevuto solo dei no. Aspetteremo ancora, ma prima si va avanti e meglio è. Per tutti». |
|
 |
 |
 |
 |
|
|
|
 |
 |