Lo strappo di Pomigliano inaugura Fabbrica Italia ma per Fiat è solo l’inizio
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Il voto di Pomigliano d’Arco, con tutto il suo carico di tensioni , speranze e purtroppo divisioni tra i lavoratori, non è la conclusione contrastata di un percorso. È, invece, solo la prima tappa di «Fabbrica Italia» il progetto che Sergio Marchionne ha delineato per la Fiat da qui al 2014, una sfida totale, industriale e anche culturale, al mondo del lavoro, alla politica, alle istituzioni. Dopoil referendum, se il Lingotto confermerà l’investimento di 700 milioni di euro e non metterà in campo altre impreviste soluzioni, niente sarà più lo stesso nelle relazioni industriali in casa Fiat, ma si può facilmente immaginare che sulla strada del recupero di competitività attraverso la compressione dei diritti contrattuali e costituzionali dei lavoratori si avvieranno molte altre aziende. Il mondo sembra andare al contrario: in Cina gli operai scioperano e protestano per ottenere salari dignitosi e migliori condizioni di lavoro, in Italia invece in nome di una non ben definita modernità smantelliamo le conquiste sindacali, civili frutto di lotte decennali. Se davvero partirà il progetto di Pomigliano (Marchionne non ha sciolto la riserva) poi toccherà a Mirafiori, a Melfi, a Cassino, alla Sevel. Per Termini Imerese, invece, la Fiat non ha lasciato speranze: «Sarebbe una pazzia non chiuderla» ha sentenziato Marchionne. Il modello Pomigliano, se sarà implementato, verrà poi esteso alle altre fabbriche italiane, probabilmente sarà calibrato sulle esigenze produttive e organizzative di ciascuna fabbrica da Torino alla Basilicata. Inutile dire che il timore del “contagio”, dell’estensione del programma di Marchionne da Pomigliano alle altre fabbriche preoccupa migliaia di dipendenti. Perchè nessuno, tanto meno i sindacati, si oppone a perseguire nuovi, ambiziosi obiettivi di produzione, ma quello che giustamente allarma è che questo possa avvenire a scapito del sistema di garanzie, dei diritti dei lavoratori. D’altra parte è inutile farsi illusioni. Il clima politico, la linea del governo, il tifo della Confindustria, anche le timidezze della sinistra, tutto pare concorrere per favorire il successo del “ricatto” della Fiat: vi offro il lavoro, zitti e fate come dico io. Marchionne vuole un cambiamento radicale dell’organizzazione del lavoro e delle relazioni industriali, la sua ambizione è trasferire in Italia il modello della fabbrica Tychy, in Polonia. In sintesi queste sono le condizioni preliminari che il Lingotto esige per investire in Italia: 18 turni settimanali per tutti gli impianti, revisione degli accordi sindacali, piena flessibilità della forza lavoro, contenimento del costo del lavoro, pieno utilizzo degli ammortizzatori sociali. Con questa dote Marchionne è pronto a fare la sua parte e a concedere una speranza alle fabbriche, ai lavoratori italiani con investimenti di circa 20 miliardi di euro in cinque anni. La Fiat intende portare la produzione di auto in Italia dalle 650mila unità del 2009 a 1,4 milioni nel 2014, una cifra che rappresenterà circa un quarto dell’intera produzione Fiat-Chrysler stimata in 6 milioni di vetture. Il raddoppio della produzione avverrà tramite la saturazione degli impianti esistenti, più turni, più produttività. I numeri non lasciano dubbi. Mirafiori, la storica cattedrale dei metalmeccanici, tra cinque anni avrà una capacità produttiva di oltre 300 mila vetture con una saturazione degli impianti che passerà dal 64% all’88%. A Cassino la produzione passerà da 100mila a 400mila auto. Melfi, il “prato verde” del sogno della fabbrica non conflittuale, produrrà almeno 400mila vetture. A Pomigliano, se i lavoratori fanno i bravi e seguono Marchionne, ci sarà la Nuova Panda, 250mila auto all’anno. La Sevel di Val di Sangro passerà da 100mila a 250mila veicoli. Obiettivi ambiziosi, forse temerari che, se conseguiti, consentiranno a Fiat Auto di raddoppiare il fatturato da26 a 51 miliardi di euro. Davanti a un disegno industriale, di potere, di questa dimensione. Di questa forza risultano quasi marginali le osservazioni, le critiche, le lotte di chi cercando un lavoro e un reddito per vivere non dimentica i diritti e la dignità. Ma oggi l’Italia è questa. Ora vedremo cosa farà Marchionne.